PAUL GAUGUIN [BIOGRAFIA E SUE OPERE]

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    DESCRIZIONE DI ALCUNE SUE OPERE



    Ia Orana Maria



    a Orana Maria (Ave Maria) è un dipinto a olio su tela (114x89 cm) realizzato nel 1891 dal pittore francese Paul Gauguin. È conservato nel Metropolitan Museum of Art di New York.

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    Ia Orana Maria



    Descrizione dell'opera

    Il dipinto raffigura tre donne tahitiane immerse nella natura lussureggiante della Polinesia: la donna in primo piano, quella con il pareo rosso, rappresenta Maria che porta sulla spalla suo figlio Gesù (la loro sacralità è indicata dalle due aureole). In secondo piano, troviamo due donne in atteggiamento di venerazione, mentre un angelo dalle ali gialle e viola, confuso fra la vegetazione, indica alle due donne la presenza di Maria. Infine, in primissimo piano riscontriamo una natura morta esotica con banane. In questo dipinto Gauguin fa emergere un tratto tipico della sua pittura: il sincretismo, ossia l’unione di due culture molto diverse fra loro, in questo caso la religione cristiana con la visione del mondo dell’esotico, al fine di rappresentare gli aspetti primitivi e naturali della spiritualità.[senza fonte] Importante sottolineare anche la critica che Gauguin fa al mondo occidentale, ovvero di aver rovinato e contaminato un mondo così puro, quello che l’artista definisce “un paradiso terrestre”.



    Lo spirito dei morti veglia



    Lo spirito dei morti veglia (Manao Tupapau) è un dipinto a olio su tela (73x92 cm) realizzato nel 1892 dal pittore francese Paul Gauguin. È conservato nell'Albright-Knox Art Gallery di Buffalo.

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    Descrizione dell'opera

    La donna raffigurata è Teha'amana, la giovane amante del pittore. Gauguin avrebbe preso ispirazione per il quadro quando, tornando da Papeete in una sera di tempesta, trovò Teha'amana al buio nella capanna, sdraiata supina sul letto e terrorizzata dall'oscurità. Alla memoria visiva, il pittore aggiunge a sinistra nel quadro, incappucciato e con l'aria minacciosa, un Tupapau, una sorta di demone o spettro polinesiano dei morti. Non a caso, poi, il titolo è assai ambiguo: può significare sia "Lei pensa allo spettro", o "Lo spettro pensa a (oppure veglia su di) lei".





    Aha oe feii?



    Aha oe feii? (Come, sei gelosa?) è un dipinto di Paul Gauguin del 1892, oggi conservato nel Museo Puškin delle belle arti di Mosca. Realizzato da Gauguin nel periodo polinesiano, l'artista rappresentata la realtà che lo circonda rielaborandola da un fatto a cui realmente aveva assistito.

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    No te aha oe riri?



    Descrizione e stile

    Sulla sabbia rosa, nei pressi dell'acqua i cui riverberi e scintilli sono interpretati come chiazze di colore grigio, ocra, arancio e nero, due fanciulle si riposano.

    Le due fanciulle, una distesa in pieno sole e l'altra seduta sulla sabbia, quasi completamente in ombra, sviluppano un contrasto compositivo immediato. Questo è visibile nelle loro teste, che sono sui due estremi di una stessa direzione, e nei loro corpi, che sono fusi in un'unica matassa compatta per metà scura e per metà chiara.

    Al perizoma rosso della ragazza sdraiata corrisponde poi, dal lato opposto, la veste rossa con i fiori poggiata a terra di fianco alla fanciulla seduta con in testa una ghirlanda, che è un chiaro richiamo alle dee greche.

    I volti e i corpi bruni sprigionano poi una forte carica erotica mentre la natura circostante è trattata sinteticamente e attraverso una percezione antinaturalistica della realtà. La bellezza delle due donne non è vera ma è vocativa (di uno stato d'animo). Gauguin infatti, interviene sul colore per dargli una valenza soggettiva.






    Arearea



    Arearea o giocosità è un dipinto di Paul Gauguin. È stato realizzato nel 1892 con la tecnica a olio su tela, ed ora è conservato a Parigi nel Museo d'Orsay. Questa opera fa parte di una serie di tre dipinti realizzati durante il viaggio a Tahiti.

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    Descrizione dell'opera

    Il termine Arearea significa giocosità, in effetti il quadro comunica una condizione di serena naturalezza. Sullo sfondo ci sono tre donne che pregano dinanzi ad un totem che raffigura una divinità tahitiana. Tale divinità è sproporzionatamente grande, quasi a dimostrare un mondo in cui gli uomini sono sotto la protezione degli dei. Più avanti troviamo due donne e un cane: la prima suona un flauto mentre l'altra sembra guardare l'osservatore.








    Giorno di dio



    Giorno di dio (Mahana no atua) è un dipinto a olio su tela (68,3x91,5 cm) realizzato nel 1894 dal pittore francese Paul Gauguin. È conservato nell'Art Institute di Chicago.

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    Il quadro è stato dipinto in Francia nell’intervallo tra due soggiorni a Tahiti. Rappresenta un sacrificio alla dea Kali visibile nel centro del dipinto. Le chiazze in primo piano sono i riflessi che la variopinta vegetazione polinesiana produce sulla superficie del mare. Si capisce che si tratta di acqua e non di vegetazione poiché le donne vi immergono i piedi.






    Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?



    Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? è un dipinto del 1897 di Paul Gauguin a olio su tela (141 x 376 cm). Tale dipinto è stato portato solamente due volte in Europa, una prima volta a Parigi mentre la seconda volta a Genova nel 2011-2012 per essere esposto alla mostra "Van Gogh e il viaggio di Gauguin" (novembre 2011- aprile/maggio 2012).

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    Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?



    Storia

    L'opera, che pone i massimi quesiti esistenziali dell'uomo, fu dipinta dall'artista a Tahiti in un momento assai delicato della sua vita: prima di un tentativo non riuscito di un suicidio (l'artista era malato, aveva seri problemi al cuore ed era sifilitico, in lotta con le autorità locali ed isolato sia fisicamente che artisticamente).

    Ad aggravare le cose, giunse a Gauguin la notizia della morte della figlia prediletta Aline, avvenuta pochi mesi prima. Il dolore per la perdita spinse l'artista a creare un'opera di grandi dimensioni (la più grande del suo opus) che fosse una riflessione sull'esistenza, un testamento spirituale e quindi una summa di tutte le sue ricerche cromatiche e formali degli ultimi otto anni.

    Gauguin descrisse per la prima volta il quadro come un acquerello in una lettera spedita all'amico Daniel de Monfreid; dopo alcuni schizzi preparatori, il pittore vi lavorò notte e giorno per circa un mese, imponendosi un ritmo di lavoro frenetico che finì col prostrarlo; fu così che, ritenendosi incapace di finire il dipinto, Gauguin tentò di suicidarsi ingerendo dell'arsenico, ma la dose troppo forte e presa di getto, determinò un forte vomito che annullò l'effetto del veleno.

    Il dipinto fu poi arrotolato e spedito a Parigi al mercante d'arte Ambroise Vollard, che così stipulò un contratto redditizio col pittore, assicurandosi l'esclusiva della sua opera.

    Descrizione e stile

    Concepita come il fregio di un tempio (numerosissimi sono i richiami alle figure del Partenone, ai templi di Giava e alla cultura maori), dà l'idea di un affresco, poiché presenta i bordi rovinati. Nei bordi inserisce il titolo dell'opera (a sinistra) la firma e la data (a destra), altro elemento tipico dell'arte bizantina.

    L'opera va letta da destra a sinistra (appunto all'orientale) come un ciclo vitale disposto ad arco: non a caso, all'estrema destra è raffigurato un neonato, che già dal momento della nascita è lasciato nell'indifferenza di chi lo circonda. Al centro un giovane (l'unico personaggio maschile) sta cogliendo un frutto e può essere interpretato in due modi:

    Come richiamo al peccato originale

    Come simbolo della gioventù che coglie la parte migliore dell'esistenza.
    Alle spalle del ragazzo, una figura con il gomito in alto contribuisce a definire la struttura triangolare della prima metà, al cui vertice sono messe in risalto le due figure rosse sullo sfondo, emblematiche e con l'aria di chi ordisce trame nell'ombra: esse sono simbolo dei tormenti e delle domande che giacciono nel profondo di ogni animo, che peraltro danno il titolo al quadro.

    La stessa struttura si ritrova nella seconda metà del dipinto, speculare rispetto all'uomo centrale. Al vertice troviamo stavolta la divinità, anch'essa col suo significato simbolico: l'inutilità e la falsità della bugia religiosa, magra consolazione e senso provvisorio di una vita in realtà vana. All'estrema sinistra troviamo una vecchia raggomitolata su di sé (identica ad una mummia peruviana vista dal pittore in gioventù) in attesa della morte, trasfigurata in un urlo quasi munchiano dinnanzi alla vacuità di senso dell'esistenza (piuttosto che per la paura della morte, dall'artista abbracciata almeno nelle intenzioni dopo la conclusione dell'opera). Infine, uno strano uccello bianco con una lucertola tra le zampe, simbolo della vanità delle parole, chiude la lettura del dipinto.

    Lo sfondo rappresenta la vegetazione in maniera sintetica: i rami si trasformano in arabeschi (decorazione doppia); i colori sono antinaturalistici: infatti gli alberi sono blu.
    Le due figure di giovani accovacciate su entrambi i lati e l'idolo blu della dea Hina sul fondo compaiono in molte opere dello stesso periodo.

    Edited by belias94 - 8/5/2016, 18:04
     
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2 replies since 22/2/2013, 00:30   2227 views
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