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La strage di Odessa
La strage di Odessa è un massacro avvenuto il 2 maggio 2014 ad Odessa presso la Casa dei Sindacati, in Ucraina, ad opera di estremisti di destra, neonazisti e nazionalisti ucraini ai danni dei manifestanti che si opponevano al nuovo governo instauratosi nel Paese in seguito alle rivolte di piazza di Euromaidan. In concomitanza del rogo, preceduto e seguito da linciaggi e violenze nei confronti degli aggrediti, trovarono la morte almeno 48 persone tra impiegati della Casa dei Sindacati, manifestanti contrari al nuovo governo, o favorevoli al separatismo, simpatizzanti filo-russi e membri di partiti di estrema sinistra.
Antefatti
Con le rivolte di Euromaidan a Kiev il presidente ucraino filo-russo Viktor Janukovyč venne destituito. Questo cambio di governo provocò la reazione dei sostenitori di Janukovyč e di una parte della popolazione ucraina contraria alla svolta filo-occidentale (tra cui i membri del Partito Comunista dell'Ucraina). Il 2 maggio 2014 si ebbero quindi anche ad Odessa scontri di piazza tra le fazioni contrapposte.
Il massacro
In seguito agli scontri, in cui erano intervenute anche frange paramilitari nazionaliste (in particolare quelle di "Pravyj Sektor"), i manifestanti antigovernativi si rifugiarono nella Casa dei Sindacati. Questi manifestanti vennero seguiti ed aggrediti ferocemente all'interno dell'edificio dai sostenitori di Euromaidan e dai militanti di estrema destra, che successivamente circondarono l'edificio e appiccarono il fuoco.
Nell'incendio che ne scaturì trovarono la morte 42 persone (34 uomini, 7 donne e un ragazzo di diciassette anni), alcune delle quali del tutto estranee ai fatti in quanto si trovavano all'interno dell'edificio per ragioni di lavoro. Gli estremisti di destra impedirono ai vigili del fuoco di accedere all'area per poter intervenire. I pochi che riuscirono in maniera fortunosa a fuggire dall'incendio furono linciati dai militanti neonazisti che circondavano il palazzo. Alla fine del rogo i testimoni trovarono i corpi carbonizzati dei manifestanti aggrediti e cadaveri di donne seviziate e violentate, tra cui una donna incinta strangolata con dei cavi telefonici. Si scoprì che tra le vittime del massacro vi erano anche persone colpite da armi da fuoco e mutilate con armi da taglio.
Conseguenze
Il nuovo governo ucraino a capo di Oleksandr Turčynov e Arsenij Jacenjuk si limitò a parlare di una fatalità che era costata la vita a circa 30 persone. Il Ministro degli Interni ucraino e la Polizia sostennero da subito che i manifestanti anti-governativi fossero rimasti uccisi dalle fiamme scaturite dai loro stessi lanci di bombe molotov. Anche la stampa vicina al nuovo governo attribuì l'incendio ai manifestanti filo-russi. Ben presto questa versione venne smentita dalle testimonianze dei sopravvissuti e di vari osservatori.
Il Parlamento europeo si espresse in tal senso:«Numerosi indizi suggeriscono che non è stato il presunto incendio dell’edificio a uccidere coloro che si trovavano all’interno, lì rifugiatisi per non essere massacrati in strada, bensì sono stati colpi di arma da fuoco o armi di altro genere. Esistono filmati che mostrerebbero poliziotti sparare sui disperati che cercavano di fuggire dalle finestre e tutte le prove disponibili indicano che gli assedianti intendevano uccidere».
Nessun processo è stato intentato per la strage.
wikipedia.