Disastro di Bhopal

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    Disastro di Bhopal



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    Il disastro di Bhopal avvenne il 3 dicembre 1984 nella città indiana di Bhopal a causa della fuoriuscita di 40 tonnellate di isocianato di metile (MIC), dallo stabilimento della Union Carbide India Limited (UCIL), consociata della multinazionale statunitense Union Carbide specializzata nella produzione di fitofarmaci.

    La nube, formatasi in seguito al rilascio di isocianato di metile iniziato poco dopo la mezzanotte del 3 dicembre 1984, uccise in poco tempo 2.259 persone e ne avvelenò altre decine di migliaia. Il governo del Madhya Pradesh ha confermato un totale di 3.787 morti direttamente correlate all'evento, ma stime di agenzie governative arrivano a 15.000-20.000 vittime. Un affidavit governativo del 2006 asserisce che l'incidente ha causato danni rilevabili a 558.125 persone, delle quali circa 3.900 risultano permanentemente invalidate a livello grave. Viene comunque attribuita al governo la volontà di estendere a quante più persone possibili, anche minimamente coinvolte, gli aiuti previsti dagli accordi del 1989, al prezzo di trascurare in qualche misura le invalidità di grado maggiore. Ancora nel 2006, nelle zone interessate dalla fuoriuscita del gas il tasso di morbilità è 2,4 volte più elevato che nelle altre adiacenti. Si ritiene che i prodotti chimici rimasti nel complesso abbandonato, in mancanza di misure di bonifica e contenimento, abbiano continuato a inquinare l'area circostante.

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    Sono stati istruiti diversi processi penali e civili, sia presso tribunali americani che indiani. Essi coinvolgono l'UCIL, lavoratori ed ex-lavoratori, la multinazionale Union Carbide stessa e Warren Anderson (deceduto nel 2014), suo CEO al tempo del disastro, sul quale dal luglio 2009 pendeva un mandato di arresto emesso dalla giustizia indiana. Nel giugno 2010 un tribunale di Bhopal ha emesso una sentenza di colpevolezza per omicidio colposo per grave negligenza nei confronti di otto ex-dirigenti indiani della UCIL (di cui uno già deceduto), tra i quali Keshub Mahindra, all'epoca presidente. La condanna, pari al massimo previsto di due anni di carcere e 100.000 rupie (circa 2000 dollari) di multa, è stata giudicata irrisoria dagli attivisti e dalla società civile. I condannati, scarcerati dietro una cauzione inferiore ai 500 dollari, hanno presentato appello.

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    Storia
    Prodromi
    La Union Carbide India Limited (UCIL) venne fondata nel 1934 dalla Union Carbide Corporation USA (UCC), uno dei primi investitori statunitensi in India. Divenne una sussidiaria della UCC il 24 dicembre 1959 e l'azienda statunitense al momento dell'incidente ne deteneva il 50,9% delle azioni.

    L'impianto di Bhopal fu costruito a partire dal 1969 su terreno preso in affitto dal governo locale. La sezione per la produzione di isocianato di metile (MIC) venne aggiunta nel 1979 ed entrò in funzione il 5 febbraio 1980. Il MIC era un prodotto intermedio nella produzione dell'insetticida carbaryl (nome commerciale Sevin) e Bhopal era l'unico impianto a produrlo fuori dagli Stati Uniti d'America.

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    L'azienda, professando di voler tutelare la sicurezza del personale, donò al locale ospedale Hamidia l'attrezzatura necessaria per la rianimazione in caso di contaminazioni gassose e allestì un piccolo ospedale interno per eseguire tutti gli esami necessari al controllo dello stato di salute dei lavoratori e alla cura di eventuali disturbi respiratori; i medici che vi operavano però non vennero mai istruiti sulle patologie dovute a fughe di gas, né informati dei componenti presenti nelle lavorazioni.

    Una fase di crisi sopraggiunta nel 1982, a fronte dello scarso successo commerciale del Sevin in India, portò al licenziamento del 40% del personale specializzato. Nell'estate 1983 la Union Carbide sospese la produzione in previsione della definitiva chiusura dell'impianto, che sarebbe stato poi trasferito in altri paesi. Nessuna misura venne però presa per smaltire le 63 tonnellate di isocianato di metile ancora stoccate in tre serbatoi sotterranei composti di acciaio e cemento, normalmente pressurizzati (previa immissione di azoto) e mantenuti raffreddati a 4 °C per evitare l'ebollizione del gas, che a pressione atmosferica si verifica a 38 °C.

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    Nell'autunno 1983 diversi sistemi di sicurezza dello stabilimento vennero disattivati, ivi compreso il sistema di raffreddamento delle cisterne di MIC, che non venne riattivato nemmeno quando, circa un anno dopo, riprese brevemente la produzione dell'insetticida. A ottobre 1984 si cessò di pompare azoto nelle cisterne, che vennero pertanto depressurizzate; contestualmente venne anche spenta la fiamma pilota dello stabilimento, che bruciava eventuali gas in fuga. La fabbrica chiuse definitivamente il 26 ottobre 1984.

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    Dinamica del disastro
    La sera del 2 dicembre 1984, durante un intervento di pulitura di una tubatura, un getto d'acqua ad alta pressione ruppe una paratia interna: l'acqua, penetrando nella cisterna E610 (carica di 42 tonnellate di isocianato di metile), reagì sviluppando calore e causando un rapido aumento della pressione all'interno dei serbatoi. Il gas formatosi si espanse verso la torre della fiamma pilota, spenta e tappata, facendo aumentare ulteriormente la pressione fino alla rottura delle valvole, che gli permise di diffondersi nell'atmosfera.

    Alle 22:30 i tecnici che presenziavano l'impianto notarono che i manometri della cisterna segnavano una pressione di 5,5 volte superiore alla norma, ma credendo si trattasse di un errore non intervennero; solo un'ora dopo, quando nell'aria si iniziò ad avvertire il pungente odore di "cavolo cotto" proprio del MIC, si decise di indagare la presenza di una perdita, che fu individuata alle 23:45. Nessuno tra il personale aveva però piena contezza della pericolosità del gas stoccato sottoterra, sicché solo dopo la mezzanotte, quando i manometri segnavano 4 atmosfere (un valore 27 volte più alto della norma) venne dato l'allarme con l'attivazione delle sirene dello stabilimento, che venne frettolosamente evacuato.

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    Le condizioni atmosferiche favorirono la catastrofe, provocando una stratificazione della sostanza, più pesante dell'aria. La nuvola si diresse verso le bidonville dei quartieri poveri che si trovano nella cosiddetta "spianata nera", abbattendosi su centinaia di migliaia di persone. All'una di notte la polizia iniziò a ricevere chiamate dalla zona circostante lo stabilimento di Bhopal, i cui residenti stavano manifestando crisi respiratorie e tentavano di darsi alla fuga; vennero allertati gli ospedali e furono richiesti chiarimenti alla fabbrica, che diede però indicazioni vaghe e contrastanti, affermando dapprima che il gas era ammoniaca, poi fosgene, e infine isocianato di metile, senza però precisarne la pericolosità. Lo stesso fece la direzione della Union Carbide, negli USA. Nondimeno, un'ora dopo, osservando che la pressione nella cisterna (ormai semivuota) era tornata a livelli normali, i tecnici dissero alle forze dell'ordine che la perdita era stata riparata.

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    Alcuni superstiti riferirono di aver trovato salvezza su un colle lì vicino sopra un lago, da cui proveniva aria fresca che allontanava nella direzione opposta la nube tossica.

    Persero la vita all'incirca 8.000-10.000 persone secondo i dati del centro di ricerca medica indiana, oltre 25.000 per Amnesty International. La stima più probabile parla di 21.000 vittime e 500.000 intossicati più o meno gravi.
    La successiva investigazione rivelò che non vennero applicate diverse procedure di sicurezza. I deflettori, che avrebbero potuto impedire l'infiltrazione dell'acqua, non furono utilizzati; i refrigeratori erano fuori uso, così come lo erano le torce che avrebbero potuto impedire la fuga di gas. Per molto tempo dopo il disastro i medici locali continuarono poi a non essere informati sulla natura del gas, impedendo di fatto i trattamenti sanitari e la conseguente pianificazione degli interventi. La maggioranza dei morti e dei feriti fu causata da edema polmonare ma il gas causò tutta una serie di diversi disturbi anche a distanza come alterazioni genetiche che si sono espresse nei neonati con gravi malformazioni congenite.

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    3 dicembre 1984: il disastro di Bhopal



    Nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984 una nube tossica fuoriesce da una fabbrica americana di pesticidi nell'antica città indiana di Bhopal. Ha inizio così la più grande catastrofe industriale della storia.


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    Nelle prime ore del 3 dicembre 1984 dallo stabilimento della Union Carbide India Limited, una cisterna di oltre 40 tonnellate di isocianato di metile esplodeva riversando nella città indiana di Bhopal una nube tossica di oltre 30 chilometri quadrati che provocò la morte immediata di migliaia di persone (3800, 8000, 15000 secondo fonti contrastanti) e altre migliaia di vittime successive strettamente legate all'evento. Il disastro di Bhopal è considerato il peggiore incidente industriale mai avvenuto. Nella foto, i bambini e le generazioni più anziane sfilano in ricordo delle vittime del disastro di Bhapal, in India.




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    Su questo pannello vengono mostrati alcuni abitanti della zona uccisi nel 1984 dall'incidente. Si trova in uno degli ospedali di Bhopal.



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    L'americana Union Carbide stabilì la sua affiliata a Bhopal nel 1969 forte della sua posizione centrale nel paese e della manodopera a basso costo. Si specializzò nella produzione di Sevin, un pesticida contenente un agente chimico altamente tossico, l'isocianato di metile, fabbricato nello stesso stabilimento. Nel 1984 la produzione di Sevin si era fermata, ma l'isocianato di metile era ancora stoccato in alcune cisterne e superava le quantità di sicurezza. L'infiltrazione di acqua in una delle cisterne provocò la famigerata reazione.




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    Oggi la fabbrica della Union Carbide di Bhopal, mai smantellata, è un relitto arrugginito, dove la natura ha ripreso possesso degli spazi un tempo occupati dall'uomo. La zona è ancora off limits, poiché secondo molti attivisti il terreno è ancora fortemente inquinato. Anche le falde che abbeverano oltre 50 mila persone nella zona sono avvelenate dai rifiuti tossici dello stabilimento.




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    Satinath Sarangi, attivista del Bhopal Medical Appeal che gestisce una clinica per le vittime del gas, ha detto che nella zona c'è «un'alta prevalenza di anemici, ritardo nel menarca delle ragazze, malattie della pelle e un alto numero di bambini con malattie congenite. I bambini nascono con arti malformati, danni cerebrali e disturbi muscoloscheletrici».




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    In questa foto del 2008 alcuni pazienti si recano presso il Jawaharlal Nehru Hospital di Bhopal. Nella zona le malattie legate al consumo di acqua inquinata, come il colera, sono molto diffuse. A distanza di anni gli attivisti sostengono che i rifiuti tossici presenti nel terreno stiano ancora avvelenando le acque sotterranee.



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    Nella foto, una delle cisterne dello stabilimento della Union Carbide. Secondo Sunita Narain, direttore del Centro per la Scienza e l'Ambiente di Dehli intervistata da Reuters «non c'è dubbio che i rifiuti prodotti dalla Union Carbide sono un problema serio che deve essere affrontato con urgenza».




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    Secondo quanto riportato dagli attivisti, mentre coloro che sono stati colpiti direttamente dal gas sprigionato al momento dell'incidente continuano a ricevere cure gratuite, chi soffre di malattie causate dall'acqua contaminata e le seconde generazioni colpite da malattie congenite non godono di alcuna protezione da parte delle autorità. Vi sono però centri medici collaterali che offrono cure gratuite. Nella foto, un anziano riceve cure nella clinica gestita dal Bhopal Medical Appeal.




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    Secondo quanto confermato anche dal National Center for Biotechnology degli Stati Uniti, la Union Carbide Corporation iniziò da subito a declinare ogni responsabilità verso la perdita di gas, incolpando dapprima la filiale indiana, poi un fantomatico gruppo di estremisti Sikh. Qualche anno dopo la Union Carbide accettò di pagare 470 milioni di dollari, che il governo indiano avrebbe distribuito ai soggetti ufficialmente riconosciuti come colpiti dall'incidente. La compagnia non si è mai fatta carico della pulizia dell'area contaminata. Nel novembre 2014 però il governo indiano ha accettato di rivedere il numero dei morti e dei feriti e di conseguenza l'ammontare dei risarcimenti.





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