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Frutti dimenticati da riscoprire: sapori antichi e tante proprietà utili per la salute
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Dimenticati, snobbati, sottovalutati, disprezzati o perfino sconosciuti: quanti aggettivi negativi hanno collezionato col passare del tempo alcuni prodotti della terra e quanta ‘memoria’, quante ‘tradizioni’, quanti valori e quanti sapori di una volta sono spariti con loro? Il caso di alcuni frutti dimenticati, retaggio del passato, è proprio questo.
La domanda a cui cercheremo di rispondere in questo breve viaggio alla ricerca dei ‘frutti perduti’ è proprio questa. Già, perché i tempi cambiano e con essi gli stili di vita e le abitudini alimentari delle persone, sempre più condizionate dalle mode culinarie del momento, dal consumo di massa e da una scarsa conoscenza delle antiche tradizioni contadine.
Spariti sia dalle nostre memorie che dalle tavole, alcuni frutti oggi considerati ‘minori’ in un tempo non lontanissimo erano preziosi perché garantivano un’ottima riserva (gratuita) di cibo e perché crescevano spontaneamente nelle campagne, nelle radure boschive e nei prati, regalando raccolti floridi e abbondanti
Senza neanche saperlo, molti di voi potrebbero abitare nei pressi di un bell’alberello di pere o mele cotogne, o di azzeruole, oppure di corniole o ancora di giuggiole o corbezzoli. Ancora oggi queste piante antiche rappresentano un patrimonio inestimabile per la biodiversità che vale la pena tutelarle e ricominciare ad apprezzare, quando si vanno a scovare frutti esotici provenienti da paesi lontani, estranei alla nostra tradizione, magari pagandole a caro prezzo.
Pensate che nel piccolo comune di Casola Valsenio (RA) ogni anno, in ottobre, si celebra la Festa dei frutti dimenticati, una manifestazione unica nel suo genere che è valsa a questo paesino sperduto tra gli Appennini del ravennate il titolo di ‘Paese delle erbe e dei frutti dimenticati’.
Il contributo che iniziative di questo genere possono apportare al recupero delle antiche piante da frutto, e con esse di tutte quelle tradizioni che rischiano di sparire per sempre, è enorme: basti pensare che ogni anno l’evento di Casola è salutato da oltre 10.000 visitatori provenienti da tutta Italia.
Ma torniamo ai nostri frutti dimenticati e cerchiamo di conoscere meglio alcuni di quelli ad oggi più ignoti o comunque spariti dai banchi della frutta dei supermercati e dei mercati ortofrutticoli.
Il sorbo
E’ uno dei frutti antichi più ricco di proprietà benefiche, ottimo per confezionare marmellate o per la preparazione di un sidro molto apprezzato in alcune regioni della Francia e della Germania. L’albero della sorba (sorbus domestica) è originario dell’Europa Meridionale ed è facile trovarlo selvatico nei boschi di latifoglie sotto gli 800 metri.
La bellezza della pianta, del suo fogliame e dei fiori, ha fatto sì che con gli anni venisse usata nei giardini come pianta ornamentale ma la bontà dei frutti giunti a maturazione meriterebbe altre glorie… magari le stesse che gli riservavano gli antichi romani che già nel 400 a.c. ne esaltavano le proprietà benefiche sull’intestino derivate dall’alta concentrazione di tannini, flavonoidi e vitamina C.
Ancora oggi le sorbe si utilizzano in erboristeria come rimedio per la dissenteria e per la cura di varie patologie a carico del sistema circolatorio.
La leggenda: nella cultura europea il sorbo serviva a tenere lontani gli spiriti maligni dalle case. In dialetto bolognese, poi, l’esclamazione ‘sorbole!’ indica stupore e meraviglia.
Le giuggiole
Chi di noi non ricorda il detto ‘andare in un brodo di giuggiole‘? Dette anche ‘datteri cinesi’, derivano dalla pianta che ha il curiosissimo nome botoanico di Ziziphus zizyphus.
La provenienza è ancora incerta ma qualunque sia la sua origine, il giuggiolo può essere coltivato sia in pianura che in montagna, per via della sua spiccata resistenza al freddo. Le giuggiole si raccolgono in tarda estate, meglio quando il colore della buccia diventa rosso intenso poiché la polpa raggiunge la completa maturazione, che gli conferisce il caratteristico sapore dolciastro e zuccherino. Oltre al più famoso brodo di giuggiole, questi frutti possono essere utilizzati per preparare sciroppi, marmellate e liquori.
La leggenda: si pensa che una specie affine al giuggiolo sia una delle due piante che servirono a preparare la corona di spine di Gesù. Per i Romani, invece, il giuggiolo simboleggiava il silenzio e per questo motivo era utilizzato per adornare i templi della dea Prudenza. In Romagna e in generale nelle case coloniche la pianta del giuggiolo veniva piantata vicino l’uscio, nella zona più esposta al sole, poiché ritenuta un portafortuna.
Il corbezzolo
Molti di voi forse non l’avranno mai assaggiato, ma il corbezzolo (Arbutus Unedo) è il frutto di uno splendido arbusto sempre verde che durante la fioritura offre una cascata di fiorellini bianchi a campanella che sbocciano durante l’autunno e che nell’anno successivo si trasformano in coloratissimi frutti a bacca rosso vivo dalla polpa fresca e dolcissima.
Originario del Mediterraneo Occidentale e delle coste meridionali dell’Irlanda, un tempo il corbezzolo era utilizzato per preparare un ottimo aceto aromatizzato che serviva per condire insalate e pietanze. Un altro impiego possibile è farne marmellate, decotti e infusi utili a disintossicare reni, fegato e vie urinarie e a combattere stati febbrili e diarree per le proprietà antisettiche e astringenti.
La leggenda: i Latini erano attribuivano al corbezzolo poteri magici e secondo la testimonianza di Virgilio riportata nell’Eneide, sulle tombe dei defunti venivano lasciati dei ramoscelli di corbezzolo a simbolo della stima nutrita nei confronti del defunto.
Mele e pere cotogne
Sono frutti appartenenti all’omonima pianta, il cotogno (Cydonia oblonga), forse la più antica fra quelle conosciute. Già nel 2.000 a.C., infatti, i Babilonesi si dedicavano alla sua coltivazione, mentre greci e romani la consideravano una pianta sacra. I meli e i peri cotogni, di forma più allungata, sono utilizzati per la preparazione di marmellate, gelatine, mostarde, distillati e liquori e per la famosa ‘cotognata’, una gelatina semi-solida in pezzi tipica del ragusano.
Vista la loro aromaticità, i frutti del cotogno venivano utilizzati anche come profuma biancheria per armadi. Fino agli anni Sessanta la produzione del cotogno in Italia era florida e abbondante ma la minor richiesta del mercato ha indotto una netta contrazione della lavorazione a livello industriale tanto che il suo seme è oggetto di salvaguardia da parte dei Seed Saver.
La leggenda: nell’antica città di Cydon (Creta), i meli e peri cotogni erano soprannominati ‘pomi d’oro’ e offerti in dono agli Dei. Fino al XVII secolo, questi frutti furono considerati un toccasana per l’azione astringente e come antidoto contro i veleni. Veniva inoltre somministrato per la cura dei mal di stomaco, in caso di inappetenze e per migliorare il funzionamento delle vie biliari.
Le corniole
Sono simili ad olive he durante la maturazione cambiano frequentemente colore passando dal verde al giallo, dall’arancio al rosso accesso fino ad acquisire una colorazione ‘vinaccia’ quando è il momento di raccoglierle.
Il corniolo (Cornus Mas) deve il suo nome alla durezza del legno che caratterizza la corteccia (= Cornus, corno) ed è molto diffuso nei boschi a latifoglie e nelle radure pianeggianti. Caduta in disuso come pianta da frutto, oggi è molto diffuso nei giardini come specie ornamentale.
Nonostante questo la corniola è un frutto leggermente acidulo ma zuccherino al punto giusto, estremamente dissetante e ottimo per preparare delle marmellate e salse. Nella campagna emiliana e romagnola, i frutti del corniolo venivano utilizzati per produrre aceti, liquori, gelatine e dolci.
L’azione tonico-astringente rende il frutto un ottimo rimedio per curare dermatiti, dolori articolari e disturbi del metabolismo.
La leggenda: la tradizione narra che il Cavallo di Troia fu costruito proprio con il legno di corniolo, così come il giavellotto con il quale Romolo tracciò i confini di Roma.. -
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Frutti rari e antichi: un patrimonio italiano da riscoprire
Alla ricerca di quattro frutti poco conosciuti che crescono in tutta Italia. E tu li conosci?
L’italia è un paese ricco di biodiversità, anche quando si parla di frutti rari e antichi.
Abbiamo scovato altre quattro piante da frutto i cui raccolti sono poco utilizzati seppur queste piante siano presenti allo stato naturale in gran parte d’Italia.
Vediamole insieme.
Amoli, un frutto antico cresce su alberi comuni
Il Mirabolano (Prunus cerasifera) è un albero molto comune e molte sue varietà vengono normalmente usate a scopo ornamentale (Prunus cerasifera var. Pissardi). Specie appartenente alla famiglia delle Rosaceae alla pari di pero e melo, viene solitamente definita amolo, brombolo o rusticano da quei pochi che ancora la coltivano per poter raccogliere i suoi frutti.
Questo albero cresce spontaneo in gran parte dell’Europa, Italia compresa e grazie alla sua rusticità riesce a produrre frutta senza che l’uomo debba compiere alcun sforzo.
Gli amoli, così vengono chiamate le drupe prodotte dal mirabolano, sono frutti tondi simili a ciliegie ma di dimensioni maggiori, come fossero delle piccole mele con polpa simile a quella delle susine. Da consumare freschi, durante la primavera gli amoli possono essere assaporati ancora verdi ma all’assaggio risultano aspri. Stupiscono grazie ad un sapore piacevolmente dolce se consumati a piena maturazione, intorno a inizio estate, quando la loro buccia si presenta di color giallo rossastro.
Crespino comune, frutto acidulo poco conosciuto
Il Crespino comune (Berberis vulgaris) è un arbusto che cresce spontaneo in gran parte del territorio italiano dai 100 ai 2000 ms.m.. Chiamato anche solo Berberis, questa pianta deve il suo nome botanico alla forma concava dei petali e delle foglie: “berberi” in greco indica le conchiglie.
Il crespino fiorisce intorno a metà primavera e mostra i suoi frutti nel prosieguo della stagione, fino a luglio quando le piccole bacche oblunghe di circa 1 cm acquistano una colorazione rossa e possono essere raccolte.
Durante il raccolto prestate attenzione alle spine poste lungo i rami della pianta, così da poter portare in tavola un frutto raro senza doverne subire conseguenze.
Ricco di qualità depurative e antipiretiche, i frutti del crespino hanno un sapore acidulo molto intenso che non soddisfa molto i palati moderni. Tanto che in passato le bacche del crespino venivano lasciate a maturare sui rami fino alla prima gelata, così facendo la frutta acquista un sapore più dolce e piacevole.
Ricchi di vitamina C e acido malico, a cui si deve il sapore aspro, i frutti del Berberis vengono utilizzati per preparare sciroppi, bevande o marmellate; purtroppo in Italia questa tradizione è andata pressoché persa ma in Russia e in Iran le bacche del crespino vengono considerate una prelibatezza e sono presenti in molte ricette tipiche.
Sambuco, frutto raro da consumare con parsimonia
Il Sambuco comune (Sambucus nigra) è un arbusto che cresce spontaneo un po’ in tutta Europa, Italia compresa.
Lo si trova lungo i corsi d’acqua come a lato delle strade dato che con la sua rusticità può adeguarsi a terreni e climi anche molto diversi tra loro. Oltre ad essere onnipresente sul nostro territorio, il sambuco è conosciuto da molti per i suoi fiori commestibili, pochi invece sanno che, evitando di cogliere tutte le infiorescenze, potrebbero godere anche dei suoi frutti: piccole bacche lucide di color scuro che maturano dopo la fine di agosto.
Le bacche di sambuco sono facili da raccogliere ma vanno consumate con molta cautela, sempre previo cottura: non solo per una questione di sapore ma anche per il fatto che i semi (2 o 3 per bacca) presentano un composto potenzialmente tossico.
I frutti del sambuco sono quindi commestibili ma vanno gestiti con attenzione durante l’utilizzo in cucina: per preparare le deliziose marmellate o le buonissime gelatine di sambuco è necessario eliminare tutti i semi.
Inoltre è bene non esagerare con queste prelibate e ricercate portate, la polpa delle bacche di sambuco ha qualità lassative non indifferenti, qualità che potrebbe aiutare chi soffre di stipsi ma al contempo creare non pochi problemi a chi non ne soffre.
Il pero corvino e i suoi piccoli pomi neri
Il pero corvino (Amelanchier ovalis) è un arbusto dai rami rossastri appartenente alla famiglia delle Rosaceae, è quindi un parente stretto di gran parte degli alberi da frutto più comuni, come melo, pero e ciliegio, per citarne qualcuno.
Specie poco comune, grazie alla sua rusticità cresce spontanea anche in ambienti poco adatti alla vita vegetale, come possono essere pendii e ambienti rocciosi: per sopravvivere basta che non debba sopportare lunghi periodi di siccità, specie durante il periodo estivo.
Intorno a luglio il pero corvino porta piccoli pomi sferici di colore tendenzialmente nero, frutti rari dal sapore simile a quello della pera che contengono molti semi, fino a 10.
La gran presenza di semente toglie un po’ di appetibilità al frutto che in ogni caso possiede un sapore dolciastro unico nel suo genere e molto ricercato. Ecco perché i più son soliti utilizzare i frutti di pero corvino sotto spirito o per preparare marmellate o confetture dal gusto particolare
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Molto interessante . -
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Le Bacche di Crespino o Berberry
www.innatura.it
Autore Antonio Sisana
In autunno possiamo coglierle e farne uso con parsimonia
BERBERRY le bacche del Crespino (Berberis Vulgaris L.)
In autunno possiamo trovare nei nostri boschi, boschi cedui, nelle siepi delimitanti e pascoli dei terreni argilloso-calcarei, i Crespini, nome latino Berberis vulgaris L., arbusto cespuglioso alto qualche metro don fusti un poco tortuosi, rami gracili con spine a 3 punte e corteccia grigiognola. Questi presentano le loro tipiche bacche rosso-scarlatte di forma oblunga e dal sapore amaro-acidulo.
Queste bacche si raccolgono in settembre, in autunno, una volta ben mature, magari dopo le prime gelate. Questa bacca denominata Barberry ha proprietà disintossicanti, antinfiammatorie, stimolanti e sedative che aiutano contro diversi agenti patogeni e rafforzano il sistema immunitario. Sono ricche di vitamina C, vitamine del gruppo B, zinco e di berberina, un alcaloide potenzialmente velenoso, se assunto in grandi quantità, ma anche curativo fungendo azione antibiotica, antibatterica e funghicida.
Si attribuisce a queste bacche proprietà antinfettive e antinfiammatorie delle vie urinarie, benefiche in caso di congestione nasale, sinusite, mal di gola, bronchite, proprietà digestive ed ottime in caso di psoriasi ed infezioni da candida. La loro è anche un’azione antidiarroica essendo astringenti ed agendo in modo benefico sui batteri intestinali. Alcuni studi ne danno effetto antitumorale.
Tali bacche è bene non consumarle fresche, ma una volta ben maturate dopo le prime gelate autunnali possono essere essicate ed unite ad insalate, nei cereali a colazione, oppure preparate in marmellate oppure preparando uno sciroppo o un vino chiamato Vino berbero.
VINO BERBERO
Una ricetta prevede un bicchiere di frutti, 1 litro di grappa.. Mettere tutto a macero nella grappa fino ad ottenimento del colore (almeno un 15 giorni o ciclo lunare). Dopo di che si toglie i frutti filtrando e si lascia stagionare per 3 mesi. Una volta stagionato si consuma come liquore rinfrescante in estate con aggiunta di acqua fresca ed a piacere una fetta di limone, oppure come ricostituente e stimolante delle difese immunitarie.
SCIROPPO DI BERBERRY
Mettere 500 grammi di bacche mature in acqua aspettando che si ammorbidiscano dopo di che è bene passarle unendovi del miele. Si fanno cuocere fino a ricavarne un ottimo sciroppo, si lascia raffreddare e poi si versa in una bottiglia di vetro per conservarlo e consumarlo a cucchiaini all’occorrenza.
Le informazioni contenute in questo articolo sono da intendersi a puro scopo informativo e divulgativo e non devono essere intese in alcun modo come diagnosi, prognosi o terapie da sostituirsi a quelle farmacologiche eventualmente in atto. In nessun caso sostituiscono la consulenza medica specialistica. L’autore ed il sito declinano ogni responsabilità rispetto ad eventuali reazione indesiderate.. -
sc91.
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Il corbezzolo ha dei colori meravigliosi! .