L'ELEFANTE O PACHIDERMA [CURIOSITÀ, FOTO E VIDEO]

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    L'ELEFANTE O PACHIDERMA [CURIOSITÀ, FOTO E VIDEO]



    Gli elefanti sono mammiferi Proboscidati appartenenti alla famiglia degli Elefantidi (Elephantidae - Gray, 1821).

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    Vivono normalmente fra i 50 e i 70 anni, ma l'elefante più longevo di cui si ha notizia ha raggiunto gli 82 anni. L'esemplare più grosso mai trovato fu ucciso in Angola nel 1956: era un maschio di 12 000 kg di peso, per un'altezza alla spalla di 4,2 metri (un metro più alto della media dell'elefante africano).

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    Tradizionalmente la famiglia si considerava costituita da due specie, l'elefante indiano o asiatico (Elephas maximus) e l'elefante africano (Loxodonta africana). Recentemente è stata identificata una terza specie (precedentemente considerata una sottospecie di L. africana), l'elefante africano delle foreste (Loxodonta cyclotis).

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    Caratteristiche

    Sono animali grigi di grande mole, con occhi relativamente piccoli e grandi orecchie mobili; sono dotati di 2 zanne prominenti (da cui si ricava l'avorio) e di una proboscide, derivata dalla fusione di naso e labbro superiore: un organo molto versatile, prensile, dotato di numerose terminazioni nervose.

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    Gli elefanti hanno un udito e un olfatto sviluppatissimi, che compensano una vista piuttosto debole.

    La gestazione dura circa 21 mesi; viene partorito un piccolo che alla nascita pesa circa 120 kg. I parti gemellari sono molto rari e interessano meno del 2% delle nascite.

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    Gli elefanti sono erbivori e si nutrono principalmente di fogliame degli alberi. Necessitano di grandi quantità di cibo, e il loro passaggio ha un effetto devastante sulla vegetazione; di conseguenza, tendono a spostarsi in continuazione. Prima dell'avvento dell'uomo, che ne ha limitato fortemente la circolazione sul territorio, erano certamente una specie meno stanziale di quanto non appaia oggi.

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    A partire dalla maturità superiore, gli elefanti rivelano un carattere irrequieto, che non raramente può portare a episodi di aggressività, anche nei confronti dell'uomo. La fase di massima eccitazione dei maschi, in cui sono più pericolosi, viene chiamata must, ed è ben nota ai gestori di circhi o zoo.

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    Essi non sono monogami: di solito, il maschio vive con la femmina per un periodo piuttosto lungo, anche anni, per poi cambiare compagna. La struttura sociale è complessa, organizzata in gruppi di femmine imparentate tra loro e facenti capo a una matriarca. A margine del gruppo principale vi sono gruppi più piccoli di maschi che, nel periodo del "must", combattono tra loro per scegliere la gerarchia di accoppiamento.

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    Gli elefanti sono dotati di una proverbiale memoria; individui addomesticati hanno mostrato di poter riconoscere una persona anche a distanza di anni.

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    Rito funebre

    L'elefante è l'unico animale a eseguire riti funebri. Quando un esemplare muore il resto del branco inizia a barrire e ricopre il defunto con foglie, fango e rami secchi.

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    Anatomia

    Oltre alle zanne, l'elefante ha altri 4 enormi denti (molari). L'intestino è eccezionalmente lungo (nelle specie africane misura mediamente 37 metri) e predisposto alla digestione di qualsiasi tipo di vegetale. Il cervello dell'elefante è quattro volte più grosso di quello di un uomo (in proporzione però è più piccolo, perché un elefante pesa circa 100 volte più di un essere umano).

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    Nonostante la somiglianza esteriore, gli elefanti africani e asiatici presentano alcune importanti differenze sul piano anatomico. Lo scheletro dell'elefante africano ha 21 paia di costole e 26 vertebre caudali, mentre l'elefante asiatico ne ha rispettivamente 19 e 33. Nel primo il cranio è appiattito sulla fronte, nel secondo molto incurvato. Nell'elefante asiatico, inoltre, le zanne sono più corte di quelle dell'elefante africano. Altra visibile differenza tra l'elefante africano e l'elefante asiatico è la dimensione delle orecchie: il primo ha i padiglioni auricolari molto più grandi (183 cm lunghezza e 114 cm di larghezza) rispetto a quelli del secondo (60 cm di lunghezza e 30 cm di larghezza).

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    Altre specie

    Una quarta specie di elefante, l'elefante nordafricano (Loxodonta pharaoensis), si è estinta in tempi recenti (I o II secolo); a questa specie alcuni dicono appartenessero gli elefanti da guerra di Annibale anche se i più propendono per una loro provenienza asiatica (come quelli usati dai persiani e dai re dell'Epiro). Una quinta specie estinta, l'elefante pigmeo (Loxodonta pumilio), di cui si è ipotizzata l'esistenza sulla base di ritrovamenti di ossa nel bacino del Congo, è controversa: secondo alcuni paleontologi potrebbe infatti trattarsi di elefanti africani delle foreste le cui dimensioni ridotte sarebbero da attribuirsi a condizioni ambientali.

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    Evoluzione

    La storia evolutiva della famiglia è quanto mai complessa ed intricata, come tutto l'ordine Proboscidea del resto, e soggetta a totale rimescolamento e riformulazione ogni volta che viene scoperta una nuova specie fossile. Lo schema iniziale elaborato agli inizi del secolo scorso vedeva semplicemente gli elefanti come derivati dai Mammuth i quali, a loro volta, erano derivati dai Mastodonti. Con il procedere dei ritrovamenti fossili vennero poi interpretati come antenati degli elefanti gli Stegodonti asiatici.

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    Quando ci si accorse che le due specie erano contemporanee e non potevano quindi essere l'una l'antenata dell'altra si lasciò la questione in sospeso ipotizzando per la famiglia Elephantidae una evoluzione indipendente separata dal resto dell'ordine dei Proboscidati, con forme tutte ancora da scoprire, e risalente addirittura al Moeritherium, vissuto 40 milioni di anni prima nell'Oligocene dell'Egitto.

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    Gli Stegodonti

    Nella seconda metà del secolo scorso compaiono finalmente fossili di animali dalle caratteristiche intermedie fra gli elefanti ed i Gonfoteri (famiglia Gomphotheriidae) che fino ad allora erano visti solo come un ramo specializzato di Mastodonti. I resti di Stegolophodon, vissuto in Africa nel Miocene, evidenziavano rispetto alle forme precedenti (in particolare Tetralophodon) un numero superiore ed un allungamento dei molari con creste trasversali (dette lamelle) composte da piccole cupsidi o piccoli coni.

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    A partire da questa specie possiamo far risalire sia gli Stegodonti asiatici (genere Stegodon con numerose specie) sia le prime forme chiaramente riconducibili agli elefanti veri e propri come Stegotetrabelodon e Stegodibelodon. I due generi, vissuti in Africa e composti da limitati resti frammentati, presentano una struttura della corona dei molari con le "spaziature" (o depressioni) tra le creste a forma di V (tipiche degli elefanti attuali mentre negli Stegodonti sono a forma di Y) e la presenza di incisivi sulle mandibole.

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    Vissuti alla fine del Miocene e all'inizio del Pliocene in un ambiente misto di foreste e savana, le due forme devono il loro nome, nello specifico il suffisso "Stego", alla scorretta interpretazione dei primi studiosi che li ritenevano parte del gruppo degli Stegodonti. Lo stadio successivo dell'evoluzione degli elefanti moderni è rappresentato dal genere Primelephas, vissuto in Africa alla fine del Miocene e caratterizzato da due paia di zanne dirette in avanti (anche se le inferiori erano di dimensioni nettamente inferiori rispetto alle superiori), un tronco più lungo ed un maggior numero di creste nei molari. Attualmente Primelephas è considerato l'antenato comune diretto dei Mammuth e degli elefanti moderni e la loro differenziazione è stata calcolata a circa 5,5 milioni di anni fa.

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    La saga del Mammuth

    Enorme diventa a questo punto la confusione generata per classificare i vari generi: fino alla fine degli anni ottanta persisteva la teoria che voleva un genere ancestrale denominato Archidiskodon progenitore di Mammuth europei ed asiatici progenitori, a loro volta, del genere Elephas limitato alle due specie asiatiche attuali.

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    Archidiskodon era visto anche come antenato degli elefanti africani passando però prima da un successivo genere Palaeoloxodon che anticipava l'attuale Loxodonta. Nuove scoperte fossili e nuove classificazioni hanno portato a far scomparire quasi totalmente l'esistenza del genere Archidiskodon e a datare a 4,8 milioni di anni fa l'inizio della linea evolutiva del Mammuth documentata dal ritrovamento in vari siti del Nordafrica di resti della specie Mammuthus africanavus.

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    A circa 4 milioni di anni fa sono datati i resti della specie Mammuthus subplanifrons ritrovata in Sudafrica e Kenia e che in molti vedono come semplice sottospecie della precedente. È a partire da questo periodo che i Mammuth iniziano a migrare e a raggiungere l'Asia e l'Europa.

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    La prima comparsa in Italia di rappresentanti del genere Mammuthus è datata a 2,6 milioni di anni fa nel medio Villafranchiano (tardo e medio Pliocene) con una specie, ancora poco conosciuta e studiata, denominata (momentaneamente) Archidiskodon gromovi. Altrove fa la comparsa 1,7 milioni di anni fa la specie Mammuthus meridionalis che si diffonde rapidamente in tutto il continente euroasiatico e raggiunge il Nordamerica attraversando l'allora esposto stretto di Bering.

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    Questa specie presentava delle zanne molto caratteristiche: presso la base divergevano e si dirigevano verso il basso poi, con una curvatura ad S, si rivolgevano all'interno. Il dorso aveva un andamento quasi orizzontale e rettilineo, il cranio era più corto delle specie precedenti. 700.000 anni fa il clima subì un forte raffreddamento e le fertili savane del Mammuthus meridionalis si trasformarono in steppe congelate causandone l'estinzione.

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    Emerge allora la nuova specie Mammuthus trogontherii (chiamato anche "Mammuth delle steppe") adattato ad una dieta a base di erbe coriacee e ad un clima tipici della steppa. In questa specie le zanne assumono una ricurvatura ancora più marcata ed il cranio si accorcia ancora rispetto alla specie precedente.

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    Questa è la base che porta alla comparsa del Mammuthus primigenius dapprima nella sottospecie fraasi e poi nella variante che tutti conosciamo come "Mammuth lanoso", l'animale tipico della megafauna dell'Era glaciale, famoso anche per gli eccezionali ritrovamenti di individui completi congelati in Siberia, oggetto soprattutto oggi di numerosi dibattiti sulle sua estinzione.

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    Dai rappresentanti nordamericani del Mammuthus meridionalis si evolve il gigantesco Mammuthus imperator, dalle zanne lunghe 4,2 metri e con una forma quasi circolare, ed altre specie affini quali Mammuthus columbi e Mammuthus jeffersoni estinte tutte alla fine del Pleistocene così come la variante insulare rimpicciolita detta Mammuthus exilis.

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    Elephas e Loxodonta

    Contemporaneo alle prime specie di Mammuth era anche la specie Elephas ekorensins, arcaica iniziatrice del ramo che porta ai moderni elefanti asiatici e datata a 4,5 milioni di anni fa. Elephas recki, vissuto un milione di anni dopo, raggiunse la dimensione record di 4,5 metri di altezza, misura che non lo avrebbe fatto sfigurare se messo al fianco del famoso Deinotherium giganteum.

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    L'animale prosperò indisturbato in Africa per 2,5 milioni di anni fino a quando non subì la concorrenza del più efficiente esponente del genere Loxodonta. Il suo posto fu preso dal nuovo genere Elephas planifrons che si diffuse in Europa ed India durante il Pliocene inferiore. Le successive forme di Elephas, derivate dalla planifrons furono inizialmente classificate come esponenti di un nuovo genere a suo tempo denominato Palaeoloxodon e solo di recente attribuite ad Elephas (con il vecchio nome Palaeoloxodon ridotto al rango di sottogenere).

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    A questa linea evolutiva appartiene l'Elephas antiquus, comunemente chiamato "Elefante dalle zanne dritte", la sua variante asiatica Elephas namadicus e la versione nana Elephas falconeri, emblematico caso di nanismo insulare ed ultima specie del gruppo Palaeoloxodon ad estinguersi (circa 6000 anni fa).

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    A partire da Elephas planifrons è possibile far risalire anche una linea di elefanti asiatici che, partendo con Elephas hysudricus del Pliocene inferiore del nord dell'India e passando da altre numerose specie e sottospecie, si va a distribuire in numerose zone dell'Asia orientale quali Birmania, Giava, Borneo, Cina e Giappone. Tutte queste forme asiatiche sono caratterizzate da depressioni delle corone dei denti molari, con creste più o meno completamente intervallate di ampie valli tra loro e il cui numero per ogni dente è sempre molto inferiore rispetto a quello degli elefanti attuali.

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    Alla fine degli anni ottanta cadde anche la teoria che voleva il genere Loxodonta, di cui non si trovavano forme fossili, discendente recente del già citato Palaeoloxodon: in Uganda nel 1995 vennero alla luce resti fossili di un animale classificato come Loxodonta adaurora e datato a 6-5,5 milioni di anni fa. Tale datazione porta il genere Loxodonta ad essere visto come il primo dei tre membri della famiglia Elephantidae ad essersi differenziato dal genere ancestrale Primelephas.

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    Sia gli stegodonti che gli elefanti propriamente detti vissero anche a ridosso della linea Wallace, che separa le faune del vecchio mondo da quelle dell'Oceania. Buoni nuotatori in realtà sono stati capaci di incursioni anche appena oltre questa linea approfittando anche della riduzione generale dei mari durante le varie glaciazioni ed in particolare durante i picchi glaciali (anche 130–150 m).

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    Si specula anche di intrusioni più consistenti di quelle a Flores, Timor e Celbes, oltre la linea Wallace-Weber e persino oltre la linea Lyddeker. Nel 1844 il paleontologo britannico Owen attribuì ad un mastodonte alcuni molari trovati in Nuovo Galles del Sud (Australia), e nel 1882 creò il genere Notoelphans per una zanna proveniente dal Queensland, altri paleontologi hanno contestato questi risultati da allora, lasciando intendere che potesse trattarsi di burle e di sub-fossili asiatici.

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    Da allora non è stata fatta alcuna scoperta di proboscidati in Oceania, anche se non è da escludersi in maniera assoluta che durante l'ultimo picco glaciale, contemporaneamente all'espansione umana oltre la linea Wallace, un po' di proboscidati raggiungessero Australia e Nuova Guinea, dove poi la caccia umana li avrebbe portati all'estinzione in breve tempo, lasciando rarissime tracce fossili.

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    wikipedia.org/

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    Edited by belias94 - 10/5/2016, 20:29
     
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    Elefanti D'africa documentario completo










    LA SAGGEZZA DEGLI ELEFANTI





    Edited by belias94 - 10/5/2016, 20:37
     
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    ELEFANTE AFRICANO



    L'elefante africano (Loxodonta africana Blumenbach, 1797) è uno dei tre rappresentanti della famiglia degli Elefantidi, unica sopravvissuta dell'ordine dei Proboscidati. Questa famiglia comprende, oltre all'elefante indiano, anche l'elefante africano delle foreste (Loxodonta cyclotis), che solo recentemente è stato riconosciuto come specie a sé stante.

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    Descrizione

    L'elefante africano è il più grande animale terrestre. Mediamente, i maschi misurano 6-6,5 metri di lunghezza, circa 3,2-3,7 metri di altezza al garrese e il peso si aggira sui 3800-5100 kg: sono pertanto mediamente più grandi dei maschi di elefante asiatico. Le femmine sono più piccole, arrivano a 3-3,5 tonnellate di peso e raramente superano i 270-280 cm di altezza; rispetto alla specie asiatica, la taglia delle femmine non ha pertanto sostanziali differenze. Questo animale ha orecchie enormi, che oltre ad assicurargli un udito molto fine sono anche utili per la dispersione di calore.

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    La struttura fisica presenta diverse differenze con il parente asiatico. Il dorso è curvo, il cranio appiattito frontalmente, la proboscide presenta due appendici digitiformi. Le zanne, che sono gli incisivi superiori allungati, sono molto grandi e nei maschi superano il metro e mezzo di lunghezza. Il suo nome scientifico Loxodonta significa in greco "dente obliquo" e si riferisce proprio a queste poderose appendici.

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    Biologia

    Questo animale non è un erbivoro selettivo, ma necessita di una ricca produzione vegetale. La parte preponderante del suo pasto quotidiano è costituita da vegetazione erbacea come le graminacee, ma si nutre abbondantemente anche di fogliame, frutti, corteccia. Grazie alla sua lunga e robusta proboscide è in grado di raggiungere anche i rami più alti.

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    Se non riesce ad arrivarvi, spesso l'elefante ricorre ad una soluzione drastica, e abbatte l'albero per nutrirsi delle sue fronde. Un branco di elefanti quindi esercita un certo impatto sull'ambiente, arrivando anche a disboscare piccole aree di vegetazione. Mediamente, questo animale deve ingerire circa 300 kg di cibo al giorno. Grazie alla notevole lunghezza del suo intestino riesce a digerire qualsiasi tipo di vegetale. Proporzionatamente, gli elefanti depositano 250 kg di escrementi al giorno, che fungono da immensa riserva per gli scarabei stercorari.

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    L'elefante è un animale sociale che vive in grandi branchi, che possono arrivare a contare anche una settantina di individui. Questi gruppi hanno struttura matriarcale e sono guidati solitamente dalla femmina più anziana. Talvolta i maschi, specie quelli più anziani, vivono solitari, mentre le femmine solitamente rimangono nel branco tutta la vita.

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    Gli elefanti dimostrano grande attaccamento fra i vari membri del gruppo. Quando un esemplare anziano si accascia al suolo, si possono osservare gli altri esemplari tentare di risollevarlo e rimanergli accanto finché non spira. I piccoli si mantengono all'interno del branco, e sono efficacemente protetti da tutti gli adulti in caso di attacco di predatori. La difesa dei cuccioli è anche uno dei possibili motivi che possono portare un elefante adulto a mostrarsi aggressivo verso gli esseri umani.

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    Questo animale ama molto l'acqua che è fondamentale per rinfrescarsi e pulirsi; usa la sua proboscide per raccogliere parecchi litri d'acqua e spruzzarsela addosso a mo' di doccia.

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    La maturità sessuale varia con le condizioni ambientali e solitamente viene raggiunta da entrambi i sessi fra gli 8 e i 13 anni. Nelle femmine l'estro si verifica mediamente ogni 2 mesi. La fase di eccitazione sessuale dei maschi viene definita must e li porta alla ricerca di femmine tramite stimoli olfattivi; in questa fase i maschi sono particolarmente aggressivi. La gestazione dell'elefante africano è la più lunga di tutti i mammiferi, e dura 20-22 mesi, ai termini del quale nasce un solo piccolo (parti gemellari sono possibili ma rarissimi).

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    Alla nascita, il cucciolo maschio pesa 120 kg, la femmina 90-100 kg, e sono entrambi lunghi circa 1,20 metri. Il neonato ha la pelle rugosa e ricoperta di peli radi; dopo mezz'ora dalla nascita è in grado di reggersi in piedi. Per i primi 3 anni il piccolo rimane sempre appresso alla madre, che lo allatta e lo protegge costantemente. In caso di allontanamento momentaneo o di morte della madre il cucciolo viene preso in consegna da altre femmine del branco.

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    L'elefante è un animale notoriamente molto longevo; vive mediamente 70-75 anni; in almeno un caso noto un individuo ha superato gli 80 anni.

    Rispetto al parente asiatico ha un carattere più aggressivo e resistente all'addomesticamento.

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    Distribuzione e habitat

    Gli elefanti sono diffusi in gran parte dell'Africa subsahariana. Il loro habitat tipico è la grande savana alberata, ma possono adattarsi anche ad altri ambienti (per esempio foreste). In ogni caso, le fonti d'acqua sono fondamentali per questo animale, che difficilmente si trova in ambienti aridi (tuttavia, ci sono elefanti in alcune zone desertiche della Namibia).

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    Sistematica

    In alcune classificazioni l'elefante africano ha diverse sottospecie più o meno riconosciute a seconda delle zone. La sottospecie nominale vera e propria (Loxodonta africana africana) è quella dell'Africa meridionale, gli elefanti della Namibia non sono considerati una sottospecie ma hanno delle caratteristiche peculiari perfettamente adattate al territorio desertico sono infatti detti volgarmente "elefanti del deserto".

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    L'Elefante africano orientale del Kenya e della Tanzania viene classificato come (Loxodonta africana knochenhaueri) mentre gli elefanti africani dell'Africa occidentale tipici del Ghana sono nella sottospecie Elefante africano occidentale (Loxodonta africana oxyotis) e ricordano vagamente i vicini elefanti di foresta (Loxodonta cyclotis) che, secondo classificazione recenti, costituiscono una specie a sé stante. Precisiamo che la suddivisione dell'Elefante africano (L.africana) in varie sottospecie è molto discutibile e accettata in pochissime classificazioni.

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    Conservazione

    Grazie alla sua mole, l'elefante africano non ha nemici naturali. A volte può entrare in competizione con grossi erbivori quali rinoceronti, ippopotami o bufali presso le pozze d'acqua, e può capitare che i piccoli vengano assaliti da grossi predatori come i leoni, ma sono quasi sempre protetti dalle madri.

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    Il nemico principale di questo pachiderma rimane l'uomo, che spesso conduce una caccia illegale per impossessarsi delle sue zanne d'avorio. Pur non essendo in serio rischio di estinzione, la sua popolazione è diminuita notevolmente rispetto al passato e in molti paesi africani sono in atto politiche di protezione di questo animale.

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    wikipedia.org/

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    Edited by belias94 - 10/5/2016, 20:40
     
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    Baby elefante vuole giocare con il bufalo



    Si sa, i cuccioli a volte per imparare una lezione devono sperimentarla, non è da meno questo elefantino, che pensava che il grosso bufalo potesse essere un suo compagno di giochi, ma come vedete dalla fotosequenza, il bufalo non era molto d'accordo, anzi lo ha caricato con una testata, per fortuna che la mandria di elefanti era li vicino e sono subito andati a salvarlo, una lezione di vita per il cucciolo che non scorderà molto facilmente.

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    Edited by belias94 - 10/5/2016, 20:42
     
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    IL SALVATAGGIO DI UN ELEFANTE



    In Africa, il bracconaggio ha raggiunto proporzioni tali che ogni 15 minuti un elefante viene ucciso dai bracconieri. Questo elefante morente è stato trovato durante un pattugliamento nel Parco Nazionale di Tsavo in Kenya, e fu salvato dai dipendenti del Fondo per la Protezione e la Preservazione della fauna selvatica David Sheldrika in Kenya. I bracconieri hanno sparato una freccia avvelenata all'elefante mentre vagava per la savana, ma come la tossina ha iniziato a penetrazione è stato sempre peggio. Come risultato, l'elefante svenne, e se non fosse per la squadra di soccorso, che ha rimosso la freccia e trattato la ferita, l'elefante sarebbe certamente morto.

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    Edited by belias94 - 10/5/2016, 20:44
     
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    Gli elefanti di savana e di foresta africani, per lo più ritenuti appartenenti a una stessa specie, sono in realtà geneticamente distinti tanto quanto gli elefanti asiatici dai mammuth



    Ora, uno studio condotto da ricercatori della Harvard Medical School, dell'Università dell'Illinois, e dell'Università di York, in Gran Bretagna, con il finanziamento della Max Planck Gesellschaft, ha scoperto che in realtà si tratta di due specie ben distinte.

    Come è illustrato in un articolo pubblicato sulla rivista on line ad accesso pubblico PLoS Biology, i ricercatori hanno confrontato il DNA degli elefanti africani e asiatici moderni e quello estratto da reperti di due specie estinte: il mastodonte e il mammuth. La ricerca è la prima in cui si è proceduto a sequenziare il genoma nucleare di mastodonte, ma è anche la prima che ha stabilito un confronto fra tutte queste specie.

    "La scoperta più sorprendente è che gli elefanti di savana e di foresta africani, per lo più ritenuti appartenenti a una stessa specie, sono distinti gli uni dagli altri tanto quanto gli elefanti asiatici dai mammuth", ha detto David Reich, che ha partecipato alla ricerca.

    "La divergenza fra e due specie è iniziata all'incirca nello stesso periodo della divergenza fra l'elefante asiatico e il mammuth", spiega infatti Michi Hofreiter, un altro autore dello studio. "La separazione fra gli elefanti africani di foresta e quelli della savana è quasi altrettanto antica di quella fra l'uomo e lo scimpanzé. Un risultato che ci ha stupiti."

    La possibilità che si potesse trattare di due specie distinte era stata avanzata già nel 2001, ma non vi erano dati scientifici stringenti a sostegno della tesi.

    L'analisi del DNA ha inoltre rivelato una vasta gamma di differenze genetiche all'interno di ogni specie. Elefanti di savana e mammut hanno una diversità genetica bassa, quelli asiatici media e quelli africani di foresta molto alta.

    FONTE:lescienze.espresso.repubblica.it
     
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    15 cose che non sapevi sugli elefanti



    Imparano dagli altri, si aiutano a vicenda e si riconoscono con un barrito anche a 2,5 km di distanza. E sono anche "artisti maledetti": si ubriacano (diventando molesti e pericolosi), dipingono e hanno una memoria prodigiosa. Ecco 15 aspetti poco conosciuti dei colossi del regno animale.

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    Se la proboscide di pachiderma termina con due dita prensili, hai di fronte un elefante africano; se ne ha uno solo si tratta di un elefante indiano.

    Formata da più di 100 mila muscoli, la proboscide ha una tale forza che può sollevare pesi di oltre 250 kg, ma è anche così sensibile che consente di strappare un solo filo d’erba.
    Serve anche per barrire, portare acqua e cibo alla bocca, lanciare fango..

    In questa immagine, un elefante asiatico alle prese con un'immersione nel mare delle Andamane (India). La proboscide in questo caso funge da boccaglio, mentre il pachiderma si tuffa - testa compresa - sott'acqua.
    Ma c'è di più: è usata per parlare con il linguaggio dei segni: se forma una “S” significa “voglio fare conoscenza”. Se, invece, le incrociano si stanno salutando, come una stretta di mano.


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    Gli elefanti africani (Loxodonta africana) sono i più pesanti mammiferi terrestri: i maschi sono alti circa 3,75 metri, mentre le femmine non superano i 3. Le loro enormi orecchie sono lunghe almeno 120 centimetri, mentre la proboscide, circa 150 centimetri di lunghezza, pesa qualcosa come 135 chilogrammi (ed è in grado di alzarne più di 250). Sommando tutto si arriva a una stazza che può arrivare a 6 tonnellate.
    Eccovi spiegato il perché delle modalità di trasporto di questo esemplare che viene trasferito dalla riserva naturale Kruger in Sud Africa al Mozambico.


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    Le zanzare non vi danno tregua? Non vi preoccupate, siete in buona compagnia. Anche l’elefante africano (Loxodonta Africana) ha un gran da fare a difendersi dagli insetti. La sua pelle – che qui vediamo da vicino – ha uno spessore che varia dai 2 ai 4 centimetri, eppure mosche, parassiti e zanzare riescono a pungerlo lo stesso.
    Dietro le orecchie, sui fianchi, petto e addome è molto più sottile. Anche le zone più spesse sono comunque molto sensibili perché riccamente innervate: si accorgono di ogni mosca che vi si appoggia.
    Per allontanare gli ospiti indesiderati il povero mammifero ha dovuto trovare un rimedio naturale: ogni tanto si cosparge la pelle con un sottile strato di fango, che oltre a respingere gli insetti, lo ripara dal sole cocente della savana.


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    A giudicare dalla sua espressione terrorizzata, questo cucciolo di elefante asiatico (Elephas maximus) non apprezza particolarmente l'ora del bagnetto.
    Eppure gli elefanti, come altri grandi mammiferi, sopportano più volentieri il freddo del caldo eccessivo.
    Quando l'afa non perdona, vanno in cerca d'ombra e agitano le grandi orecchie a diverse velocità per dissipare calore e abbassare la temperatura corporea. La vicinanza con una fonte d'acqua è indispensabile, in un solo giorno uno di questi pachidermi può arrivare a consumarne 140 litri.


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    In tema di "droghe animali", la predilezione degli elefanti va all'alcol: sono capaci di aspettare la maturazione dei frutti di diverse specie di palme di cui poi si cibano, visto che solo dopo l'inizio del processo di fermentazione il frutto diventa alcolico. Quest'attesa indica che la ricerca dell'alcol è intenzionale.
    Gli elefanti ubriachi diventano poi ipereccitati e, cosa più grave vista la mole, perdono la coordinazione motoria, si impauriscono facilmente e quindi diventano aggressivi. Un branco di elefanti ubriachi è un serio pericolo per l'uomo: non è raro leggere tra le cronache notizie di disastri provocati da questi animali.
    Per questo vizietto, in India, i pachidermi sono perfino utilizzati per stanare distillerie clandestine.


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    Saranno stati i morsi della fame o l'inesperienza dovuta alla giovane età, fatto sta che questi giovani esemplari di egretta (gen. Egretta) hanno trovato un metodo ingegnoso - anche se un po' rischioso - per procurarsi la colazione. Incuranti del pericolo di finire schiacciati sotto a una delle zampe del pachiderma che li precede, ne hanno seguito le orme per nutrirsi degli insetti sollevati dall'impatto del suo peso sul terreno. La scena è stata immortalata in Tanzania.
    Anche gli elefanti al momento dei pasti fanno appello a tutta la loro furbizia pur di riempire lo stomaco. Un recente studio condotto dai ricercatori dello Yerkes National Primate Research Center (USA) e dell'Università di Cambridge (Gran Bretagna) su un gruppo di elefanti asiatici, ha dimostrato come questi animali siano in grado di cooperare volontariamente per il raggiungimento del cibo, facendo attenzione ai movimenti del patner e coordinandoli con i propri.



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    Piccoli topi crescono e, con un po' di tempo, diventano elefanti. Non è l'inizio di una favola, ma il risultato di uno studio pubblicato sulla rivista americana Pnas e condotto da un gruppo di ricercatori coordinato da Alistair Evans della Monash University, in Australia.
    La ricerca, condotta per valutare la velocità con cui si sono evolute le dimensioni dei mammiferi, ha coinvolto 28 specie (tra cui elefanti, roditori e cetacei) con un antenato in comune vissute negli ultimi 70 milioni di anni nei quattro continenti. A quell'epoca, infatti, i mammiferi avevano tutti le dimensioni di un piccolo roditore e solo dopo l'estinzione dei dinosauri sono comparsi i mammiferi più grandi, come gli elefanti e le balene.

    La velocità di accrescimento delle dimensioni corporee è stata calcolata in termini di generazioni, ossia di numero di antenati, al fine di poter paragonare specie con una durata media di vita diversa (gli elefanti arrivano agli 80 anni, mentre un topo vive 2 o 3 anni). Analizzando i fossili dei mammiferi del Cretaceo è stato possibile stabilire che per passare dai 20 grammi del topo alle 2 tonnellate dell'elefante ci sono volute 24 milioni di generazioni.
    In acqua, per diventare balena, il tempo si riduce della metà, probabilmente perchè le grandi masse in ambiente acquatico facilitano la termoregolazione e, inoltre, non devono fare i conti con la gravità terrestre.


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    Il transito di un pachiderma davanti al bancone della reception di un albergo non è un evento che passa inosservato (guarda il video).
    Ma il personale del Luangwa River Lodge, in Zambia, non sembra particolarmente sconvolto dal passaggio di un elefante africano diretto al suo albero di mango preferito. Probabilmente non è la prima volta che accade e, con la quantità di cibo che questi mammiferi possono inglobare, non c'è da stupirsi.

    Un elefante africano (Loxodonta africana) può consumare, tra foglie, radici, cortecce, erba e frutta, dai 100 ai 300 chili di vegetali al giorno, che manda giù insieme a 190 litri d'acqua.
    Durante la stagione secca, si accontenta delle foglie raccolte da arbusti spinosi. Mentre i terreni paludosi costituiscono "l'ultima spiaggia", una riserva cui attingere solo in caso di scarsità di cibo. Qui è facile trovare gli elefanti in fin di vita, perché la vegetazione è più soffice e gli esemplari malati hanno spesso pochi denti.


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    Un giovane leone tenta di atterrare un cucciolo di elefante nella grande riserva naturale Masai Mara. Il gioco terminerà senza conseguenze.
    I piccoli leoni vengono svezzati attorno ai 5-6 mesi di vita e saranno le madri a insegnare loro l’arte della caccia: una volta autonomi verranno abbandonati e dovranno imparare ad arrangiarsi da soli.

    Gli elefanti, invece, imparano l'uno dall'altro. Lo dimostra un esperimento fatto in Kenya. Gli elefanti hanno riconosciuto i vestiti di due gruppi di persone che hanno verso di loro atteggiamenti diversi: quando vedevano quelli dei Masai, cacciatori, scappavano, mentre non lo facevano con quelli dei contadini. Tale comportamento era messo in atto anche da elefanti che non avevano mai subito un attacco.



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    Prove di combattimento tra questi due giovani maschi di elefante africano (Loxodonta africana), il più grande animale terrestre esistente.
    Per mantenersi in forma mangia ogni giorno fino a 300 kg di vegetali. E di conseguenza produce fino a 250 kg di escrementi (che però possono diventare preziosi...) I maschi più grandi possono arrivare a 3 metri altezza e 7 tonnellate di peso


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    Durante la gravidanza si sa, bisogna mantenersi in forma. Soprattutto quando la gestazione dura un anno e mezzo e la futura mamma - pancione escluso - pesa 3 tonnellate! Per questo Panang, elefantessa asiatica (Elephas maximus) ospite del Tierpark Hellabrunn zoo di Monaco, in Germania, ha seguito diligentemente tutte le lezioni di Andi Fries, suo istruttore di stretching prenatale.
    Tanta costanza a quanto pare, è stata premiata: lo scorso dicembre l’elefantessa ha dato alla luce, senza particolari difficoltà, il piccolo (si fa per dire) Jamuna Toni, 112 chili di tenerezza.


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    Un elefante ospite di uno zoo belga, catturato in un momento di relax durante un bagno tonificante. I pachidermi come molti mammiferi di grossa stazza soffrono molto il caldo. E per combatterlo, ricorrono a un curioso stratagemma: sventolano ripetutamente le grandi orecchie, disperdendo il calore in eccesso, come un ventilatore naturale. Questo sistema è particolarmente efficace per l’elefante africano (Loxodonta africana), i cui padiglioni possono raggiungere misure straordinarie, anche un metro e 20 di larghezza.


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    Per risolvere i loro problemini di stomaco i cuccioli di elefante di Sumatra (Elephas maximus sumatrensis), utilizzano un metodo particolare. Tra un pasto e l’altro mangiano le feci della madre, che contengono i batteri necessari alla digestione del cibo. Questi indispensabili bacilli "buoni" si svilupperanno infatti, nell'organismo degli elefantini solo con la crescita, consentendo loro di concedersi delle grandi abbuffate senza stare male. Un elefante adulto può ingurgitare in un giorno fino a 150 chili d’erba e 140 litri d’acqua. Nella foto, un elefantino di Sumatra allattato in una riserva indonesiana.


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    Come ogni artista che si rispetti anche Noppakhao - un elefante di 7 anni che vive vicino a Bangkok, in Tailandia - ha cominciato ritraendo fiori e natura morta e pian piano ha iniziato a dipingere qualcosa di più complesso come un suo simile. Anche se è un elefante non vuol dire che non possa ambire a diventare un artista famoso.
    Forse non tutti sanno che esiste un sito che si chiama Elephantart(www.elephantart.com) dove i pachidermi di tutto il mondo possono esporre (e vendere) le loro opere d’arte. Vi fa sorridere? Sappiate che le opere di questo elefante (con prezzi non sotto i 600 dollari) sono andate tutte esaurite! Ma niente scopo di lucro, i soldi finiscono nel progetto per la conservazione e la tutela dell’elefante asiatico.


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    Gli elefanti maschi periodicamente hanno un “ciclo” chiamato murst (che in lingua hindi significa “intossicato” “folle”) in cui gli alti livelli di testosterone nel sangue - fino a 60 volte di più della norma - lo portano a diventare terribilmente aggressivo.
    Nonostante sia un fenomeno studiato da tempo, gli esperti ancora non sanno a che cosa sia legato. È difficile, infatti, che possa essere correlato all’accoppiamento, poiché spesso i maschi, in questo particolare periodo, attaccano le stesse femmine, indipendentemente dal fatto che siano in calore o meno.
    Niente a che vedere con questo tranquillo esemplare che, invece, in totale relax, si “automassaggia” con il muro.

    Tutti per uno

    Se uno di loro si trova in difficoltà, gli altri lo aiutano. Il biologo George Wittemyer ricorda che una volta, mentre avevano sedato un’elefantessa per metterle un radiocollare, «gli altri elefanti, vedendola malferma sulle gambe e credendo che fosse ferita, cercavano di tenerla in piedi appoggiandosi a lei o sollevandola con le zanne». Per gli elefanti, quindi, la solidarietà è un sentimento molto importante.





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    Edited by belias94 - 10/5/2016, 20:44
     
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    NEPAL, IL FESTIVAL DEGLI ELEFANTI



    Alla fine di dicembre, nel villaggio di Sauraha, che si trova a Chitwan in Nepal, si è svolto il festival di elefanti. Il festival che ha avuto la durata di cinque giorni ha visto gli elefanti concorrere per il più bello, giocare a calcio, e prendere parte a altri eventi sportivi.

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    Edited by belias94 - 10/5/2016, 20:49
     
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    Andrea Turkalo, la signora degli elefanti



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    Andrea Turkalo è biologo presso la Wildlife Conservation Society . Dal 1990 studia elefanti della foresta a Dzanga Bai. Lavora a stretto contatto con l'Elephant Listening Project presso il Cornell Lab of Ornithology.



    Andrea Turkalo ha passato 27 anni a osservare gli elefanti di foresta, nel cuore dell'Africa, sempre più minacciati dai bracconieri e dalla distruzione del loro habitat.

    Ha passato 27 anni in un angolo remoto della Repubblica Centrafricana, per studiare gli elefanti di foresta. Il suo laboratorio all'aperto era una piattaforma al bordo di una radura, nella zona protetta di Dzanga-Sangha. «Un vero paradiso, dal punto di vista dello studio, perché gli animali sono sempre presenti e ben visibili e si possono osservare i loro comportamenti in un contesto naturale».

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    La signora degli elefanti è Andrea Turkalo: per anni ha lavorato per la Wildlife Conservation Society (WCS), organizzazione con l'obiettivo di tutelare le ultime zone incontaminate del mondo, e ha iniziato il suo studio degli elefanti di Dzanga nel 1990. È stata tra i fondatori dell'Elephant Listening Project, del Cornell Lab of Ornithology, che studia le vocalizzazioni degli elefanti di foresta. Da un paio d'anni ha lasciato la sua piattaforma ed è tornata negli Stati Uniti, ma «anche dopo il ritiro continuo ad analizzare i dati raccolti in Africa», ci racconta.

    VITA IN FAMIGLIA. Nessuno ha passato tanto tempo quanto lei a osservare gli elefanti di foresta (Loxodonta cyclotis), diffusi nelle giungle del centro dell'Africa, dove si nutrono di corteccia, foglie e frutti, e hanno un ruolo importantissimo nel disseminare i semi: alcune piante senza di loro scomparirebbero.

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    Sono più piccoli degli elefanti africani (Loxodonta africana) della savana, pur raggiungendo un rispettabile peso di 2-4 tonnellate. «E vivono in gruppi familiari più piccoli», spiega Andrea Turkalo: sono costituiti in genere da una femmina adulta, con figlie femmine e figli maschi non ancora adulti. Una volta cresciuti, questi andranno a vivere per un po' con altri maschi e poi da soli, avvicinandosi ai gruppi familiari solo nella stagione riproduttiva.

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    «C'è un'altra differenza, che abbiamo scoperto a Dzanga: si riproducono molto più lentamente degli altri elefanti africani, il che li rende ancora più vulnerabili al bracconaggio, anche considerando che il loro avorio, più duro e rosato, è il preferito dagli artigiani che lo lavorano», aggiunge la studiosa. Le femmine infatti hanno il loro primo cucciolo dopo i vent'anni (dieci anni dopo le “cugine” delle savane) e hanno un figlio ogni 5 anni.

    CI SI VEDE IN PIAZZA? Dalla sua postazione, Turkalo ha identificato migliaia di elefanti e seguito le vite di alcuni di loro dalla nascita alla maturità. «Ho identificato circa 4.000 individui, usando dalle foto ai disegni delle orecchie, che per gli “strappi” hanno un profilo unico. Così, tracciandoli per decenni, abbiamo scoperto di più sulla loro riproduzione e organizzazione familiare. E sui loro movimenti».

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    Il punto di osservazione di Turkalo era, come abbiamo detto, una piattaforma di osservazione ai margini della Dzanga Bai. «Bai è una parola nella lingua del popolo pigmeo Bayaka e significa radura: queste aperture, nelle foreste africane, attraggono molte specie. Nell'area paludosa di Dzanga Bai arrivano gli elefanti, per assumere i minerali con cui integrano la loro dieta e stabilire rapporti sociali, ma anche sitatunga e bongo, due antilopi, bufali e vari altri animali».

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    INFRASUONI PER TENERE I CONTATTI. Nella zona, gli scienziati studiano anche le voci degli elefanti. «Oltre alle vocalizzazioni udibili, usano gli infrasuoni (onde di frequenza inferiore a 20 Hz, che il nostro orecchio non percepisce ndr). Queste basse frequenze viaggiano per anche un paio di chilometri e danno agli animali l'abilità di tenersi in contatto e di localizzare i membri della famiglia, visto che riconoscono le voci dei “parenti”. Penso che gli elefanti passino un sacco del loro tempo ad ascoltare».

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    Ora, però, gli elefanti di foresta sono particolarmente a rischio. «La popolazione è calata del 60% dal 2000 al 2012. Sono cacciati per l'avorio, ma in questo contesto di povertà anche per la carne (la Repubblica Centrafricana è tra i paesi più poveri del mondo ndr). E poi c'è la perdita del loro habitat, per il taglio degli alberi e l'espansione degli insediamenti. Prima, c'erano isole di umani circondate dagli elefanti; ora ci sono isole di elefanti attorniate dagli uomini...».

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    FUGA IN BARCA. Turkalo è stata testimone di questi cambiamenti e ha dovuto affrontare l'instabilità della regione. Nel 2013, quando le milizie ribelli dell'alleanza Séléka hanno preso il controllo della capitale Bangui, è stata costretta a fuggire in barca lungo un fiume e a rifugiarsi in Congo. «I ribelli Séléka sono arrivati, hanno saccheggiato il campo e ucciso 26 elefanti in due giorni, prendendo le zanne. Sono tornata nel 2014 e ho lasciato Dzanga Bai nel 2017: un posto unico, tanto da farmi affrontare tutte le difficoltà. Ora cerchiamo qualcuno che continui a stare lì».


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    piattaforma di osservazione di Andrea Turkalo




    .focus.it/

    Edited by belias94 - 19/9/2019, 16:03
     
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    Cosa sappiamo sugli elefanti nani preistorici grandi come asini



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    Ricerca condotta da Asier Larramendi per la EoFauna Scientific Research, che ha pubblicato i risultati delle indagini sulla rivista Quaternary Science Review. Circa 800 mila anni fa le isole del Mediterraneo erano solcate da elefanti nani preistorici dalle dimensioni di piccoli asini, i cui fossili evidenziano variazioni nella forma e nella struttura di questi animali. Questo suggerisce l'esistenza di due diverse specie dei piccoli pachidermi, chiamati di Paleoloxodon. È quanto emerso da una ricerca condotta da Asier Larramendi per la EoFauna Scientific Research, che ha pubblicato i risultati delle indagini sulla rivista Quaternary Science Review.

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    Esaminando i fossili degli esemplari di Paleoloxodon europei e indiani, il team di ricerca ha scoperto che le creste craniche erano più voluminose sugli elefanti con crani di dimensioni maggiori rispetto alle specie più piccole. "Anche nei teschi degli esemplari europei che presentavano creste abbastanza pronunciate, il cranio non è mai spesso come quello degli esemplari indiani", spiega Larramendi. "Questo ci dice che una volta esistevano due specie separate di pachidermi in Europa e in India", aggiunge.

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    Questo è un dente molare fossile ESTREMAMENTE RARO di un elefante preistorico TUSK-TUSKED della specie Palaeoloxodon antiquus ( Elephus antiquus ). Resti di questo antico elefante sono stati trovati in Europa e associati ai primi resti archeologici umani che indicano che gli umani preistorici d'Europa cacciavano e vivevano insieme a queste massicce bestie.



    I ricercatori sostengono che le sporgenze sul cranio potrebbero essersi evolute per agevolare l'adesione dei muscoli al collo dell'animale. Il primo teschio di Paleoloxodon venne ritrovato in India e studiato dal geologo scozzese Hugh Falconer negli anni '40 del XIX secolo. "La testa della creatura presenta una conformazione così grottesca che sembra la caricatura di una testa di elefante con una parrucca da giudice", scrive Falconer.

    I paleontologi hanno ritenuto a lungo che la specie europea Paleoloxodon antiquus avesse un'unica cresta molto sottile sul cranio, mentre la controparte indiana Paleoloxodon namadicus ne avesse una estremamente robusta. Il ritrovamento in Germania e in Italia di esemplari che presentavano crani simili alla conformazione dei pachidermi in India ha portato gli esperti a interrogarsi sulla possibilità che le due varianti fossero in realtà una unica specie.

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    "Esaminando i teschi tedeschi e italiani, abbiamo trovato un modello coerente, ma andando a fondo della questione antiquus / namadicus, è diventato sempre più evidente che si trattasse in realtà di due specie distinte", afferma Hanwen Zhang dell'Università di Bristol, che spiega inoltre il metodo utilizzato dagli scienziati per stabilire l'età degli animali al momento della morte: "proprio come i moderni elefanti, il Paleoloxodon cambiava sei serie di denti nell'arco della vita. Questo significa che dall'analisi dei denti fossilizzati possiamo ricavare con precisione l'età di ogni esemplare".

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    GLI ELEFANTI HANNO PAURA DEI TOPI! (O NO?)



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    Lo sanno anche i bambini, e difatti il 64% degli intervistati è fermamente convinto che gli elefanti abbiano paura dei topi. Niente di più falso! I simpatici pachidermi non sono affatto impensieriti dai roditori, e anzi, le loro reazioni a questi piccoli animali, spesso caratterizzate da movimenti bruschi, suggeriscono piuttosto la voglia di giocare con loro.

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    L'elefante non ha paura dei topi - è una bufala che ha origine dai cartoni animati. Può invece essere molto pericoloso per l'uomo che gli si avvicina a piedi, e in Tanzania ci sono gruppi di elefanti particolarmente aggressivi anche contro le automobili che si avvicinano troppo. Nella foto: nel parco del Serengeti, in Tanzania, una leonessa è scacciata da un elefante che la rincorre e la costringe a rifugiarsi su di un albero.


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    Quali erano gli antenati preistorici degli elefanti: i 5 giganti più insoliti con le zanne



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    Stegotetrabelodon

    Lo stegotetrabelodonte (gen. Stegotetrabelodon) è un mammifero estinto appartenente ai proboscidati. Visse tra il Miocene superiore e il Pliocene inferiore (tra 8 e 4,5 milioni di anni fa). I suoi resti sono stati ritrovati in Africa, Arabia e Italia. Era caratterizzato dalla presenza di quattro lunghissime zanne.

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    Descrizione
    Questo animale era molto simile agli attuali elefanti per forma del corpo e dimensioni, ma se ne differenziava per alcune importanti caratteristiche, riguardanti principalmente il cranio. Stegotetrabelodon doveva essere uno dei più spettacolari proboscidati mai vissuti: possedeva infatti quattro zanne (invece delle due presenti negli elefanti attuali), due nella mascella superiore e due sporgenti dalla mandibola. Le zanne superiori erano leggermente ricurve verso l'alto e dotate di uno spesso strato di smalto, mentre le difese inferiori erano anch'esse lunghe, ma diritte e quasi prive di smalto. Inoltre esse erano appiattite lateralmente, con un massimo di 7 centimetri di diametro e un minimo di 4. La mandibola era relativamente snella ma la parte terminale (sinfisi) era robusta e ripiegata verso il basso.

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    I molari mostravano una struttura simile a quella degli elefanti attuali, con tanto di lamelle e smalto nella superficie occlusale, ma l'aspetto era ancora simile a quello dei proboscidati più antichi (bunodonte). Alcuni molari, inoltre, avevano un'alta percentuale di cemento dentale, al contrario di animali simili come Tetralophodon. I molari potevano raggiungere una lunghezza di 32 centimetri.

    Stegotetrabelodon era un animale di grandi dimensioni, anche rispetto ad altri proboscidati: normalmente l'altezza al garrese era di circa 3 metri, ma sono noti alcuni esemplari che potevano raggiungere un'altezza di circa 4 metri.


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    Platybelodon

    Platybelodon (il cui nome significa "dente dalla lancia piatta") è un genere estinto di grande mammifero erbivoro imparentato con i moderni elefanti (ordine dei Proboscidea) vissuto nel Miocene, circa 15-10 milioni di anni fa (Langhiano-Tortoniano), in Asia e nel Caucaso.

    Descrizione

    Nel suo aspetto generale, il Platybelodon era molto simile all'Amebelodon, un altro genere di gomfoteriidi strettamente correlato. La strana forma del cranio, della mandibola e dei denti inferiore accomuna il Platybelodon con molti altri generi di gonfoteriidi, come Archaeobelodon, Konobelodon e appunto Amebelodon, popolarmente conosciuti come "zanne a spatola".

    La caratteristica principale di questo strano proboscidato era rappresentata dal muso: esso era caratterizzato da un insolito sviluppo delle zanne inferiori, estremamente allargate. I due giganteschi denti, larghi e piatti, erano accostati l'uno all'altro e andavano a formare un vero e proprio “badile”. Le zanne superiori, invece, erano piuttosto corte e affiancavano probabilmente quella che doveva essere una proboscide larga e piatta.

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    Classificazione
    Il Platybelodon si è evoluto nel corso del Miocene da proboscidati poco specializzati come il Gomphotherium. L'aumento delle dimensioni (il Platybelodon era grande come un elefante odierno) e la strana specializzazione della mandibola permisero a questo animale di raggiungere un successo evolutivo notevole e di prosperare per svariati milioni di anni.

    Una specie primitiva, P. danovi, è conosciuta nella Russia europea, mentre la specie più famosa e più evoluta, P. grangeri, proviene dalla Mongolia. Da notare che altri animali simili, ad esempio Gnathabelodon, Megabelodon, Eubelodon e Amebelodon, si diffusero in Nordamerica più o meno nello stesso periodo, segno che la specializzazione delle zanne "a pala" doveva essere davvero utile.




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    Deinotherium

    Il deinoterio (gen. Deinotherium), o dinoterio, è un mammifero proboscidato estinto, apparso durante il Miocene medio (circa 15 milioni di anni fa) e sopravvissuto fino al Pleistocene inoltrato circa 1 milione di anni fa. Durante tutto questo periodo, l'aspetto di questo animale non cambiò di molto: in sostanza, il deinoterio era abbastanza simile a un elefante moderno tranne che per le zanne superiori, assenti. Sulla mandibola, invece, erano presenti due zanne inferiori incurvate all'ingiù, in modo simile a due uncini, per questa sua caratteristica gli fu dato il nome deinotherium, che in greco antico significa "bestia terribile". Il corpo, poi, era più corto di quello degli elefanti odierni.

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    Origine dei miti
    Il deinoterio è il terzo più grande mammifero terrestre mai vissuto, solo il gigantesco rinoceronte Paraceratherium e l'elefante asiatico dalle zanne dritte lo superavano per dimensioni. Un maschio adulto di deinoterio era alto in media tra i 3,5 e i 4,7 metri al garrese, con un peso stimato tra le 5-10 tonnellate. La distribuzione geografica di questi animali comprendeva vaste aree di Europa, Asia e Africa. Adrienne Mayor, nel libro The First Fossil Hunters: Paleontology In Greek and Roman Times, ha ipotizzato che il ritrovamento di crani di deinoteri in Grecia abbia contribuito all'origine del mito dei giganti. Un dente di deinoterio rinvenuto sull'isola di Creta in sedimenti marini del Miocene ha fatto emergere una domanda: nel Miocene Creta era effettivamente unita all'Europa continentale, o forse i deinoteri possedevano le stesse sottovalutate abilità di nuotatori degli elefanti odierni?

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    Evoluzione

    Deinotherium è il genere tipo della famiglia Deinotheriidae, evolutosi dal più piccolo Prodeinotherium del Miocene inferiore. Questi proboscidati rappresentano una linea evolutiva totalmente distinta da quella degli altri elefanti; probabilmente si differenziarono all'inizio della storia evolutiva dei proboscidati, anche se il più antico deinoterio noto, Chilgatherium, proviene da strati dell'Oligocene superiore. Il grande gruppo a cui appartengono gli elefanti un tempo era maggiormente diversificato: vi erano i gonfoteri (ad. es Cuvieronius), i mastodonti (tra cui il mastodonte americano) e altri animali dalle strane zanne "a pala" (come Platybelodon). I deinoteri, tuttavia, sembrano essere i più primitivi tra tutti questi pachidermi.

    Stile di vita
    Il modo in cui Deinotherium usava le sue curiose zanne è argomento di discussione tra gli scienziati. Il deinoterio potrebbe averle utilizzate per dissotterrare parti di piante come radici o tuberi, oppure per avvicinare a sé fronde e raggiungere il fogliame, o ancora per strappare parti soffici dai tronchi degli alberi. Alcuni fossili di deinoterio sono stati rinvenuti in vari siti africani dove sono stati trovati anche parenti primitivi degli uomini.


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    Gomphotherium

    "Elefanti" a quattro zanne
    Per forma e dimensioni questo grande mammifero (l'altezza raggiungeva i tre metri) non doveva essere troppo diverso dagli attuali elefanti. La caratteristica distintiva più evidente del gomfoterio era però la presenza di due lunghe zanne poste nella mandibola, che andavano a fare il paio con quelle superiori. L'aspetto dell'animale, quindi, doveva essere quello di uno strano "elefante dal becco". Questa bizzarra specializzazione doveva servire ai gonfoteri per dragare i fiumi e i laghi alla ricerca di piante acquatiche che costituivano il loro nutrimento. Le caratteristiche zanne subirono un'ulteriore evoluzione nella linea che condusse ai mastodonti "dalle zanne a pala", come Amebelodon e Platybelodon.

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    Oltre che per le zanne, anche il resto del cranio del gonfoterio era diverso da quello degli elefanti attuali: era più lungo e basso, e i molari erano presenti in misura maggiore, con una superficie di masticazione più ridotta. Rispetto ai proboscidati primitivi, però, la dentatura del gomfoterio è maggiormente specializzata. Questi mastodonti a quattro zanne, come spesso sono chiamati, si diffusero negli ambienti lacustri e paludosi tipici del Miocene; i gomfoteri furono animali dal grande successo evolutivo, visto che prosperarono in molte parti del mondo per svariati milioni di anni. Il genere Gomphotherium comprende varie specie, la più nota delle quali è senza dubbio G. angustidens.





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    Palaeoloxodon namadicus

    L'elefante asiatico dalle zanne dritte (Palaeoloxodon namadicus) fu una specie di elefante preistorico vissuto durante il Pleistocene in Asia, dall'India (dove venne scoperto) al Giappone, dove veniva cacciato dalle culture del Neolitico. Si tratta di un discendente di Palaeoloxodon antiquus, rispetto al quale la somiglianza (soprattutto nelle zanne) è così stretta che alcuni autori lo ritengono piuttosto una sottospecie. La struttura del teschio di questi animali è differente da quella di un elefante moderno.

    Dimensioni

    Diversi studi hanno cercato di stimare le dimensioni di questi elefanti, così come per altri proboscidati preistorici, tramite confronti fra le misure delle ossa e la conoscenza del tasso di crescita relativo, per poter sopperire all'incompletezza degli scheletri.

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    Uno scheletro parziale rinvenuto in India nel 1905 aveva un femore la cui lunghezza una volta completo raggiungeva i 160 centimetri (5,2 ft) suggerendo un'altezza della spalla di 4.3 metri e un peso di 14 tonnellate per l'individuo. Due femori parziali rinvenuti nel XIX secolo sarebbero misurati 155 centimetri una volta completi. Un frammento dello stesso luogo era un quarto più grande. Le analisi volumetriche stimano un'altezza di 5 metri al garrese e un peso di 22 tonnellate. Ciò renderebbe P. namadicus il più grande mammifero terrestre di sempre, superando anche il più grande esemplare di Paraceratherium e doppiando la stazza del dinosauro Diplodocus carnegii.



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