Favole e leggende dal Mondo: Il coraggio di Hailibu

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    Il coraggio di Hailibu



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    Tanto e tanto tempo fa c’era un giovane cacciatore di nome Hailibu. Era d’indole buona e generosa, sempre pronto ad aiutare gli altri. Quando tornava dai monti e dai boschi con qualche preda la divideva generosamente con i suoi vicini. Era amato e benvoluto da tutti. Un giorno andò a caccia sui monti. Mentre s’inoltrava nel folto della foresta vide ai piedi di un albero un cucciolo di lupo bianco che dormiva pacifico. Passò oltre senza fare rumore per non disturbarlo. Un attimo dopo un’aquila piombò ai piedi dell’albero afferrò il lupo col becco e volò via veloce. Il cucciolo gridava disperato “Aiuto! Aiuto!”. Hailibu prese rapido una freccia, tese il suo arco e la scoccò per colpire l’aquila che già stava alzandosi in volo nel cielo.

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    L’uccello colpito vacillò, ondeggiò nell’aria e lasciò cadere il piccolo lupo bianco. Hailibu appena lo vide sano e salvo per terra, gli disse: “Tu, piccola creatura! Corri a casa dai tuoi!”. Il lupo mosse in qua e in là la testa in segno di gratitudine e scomparve fra le foglie e l’erba del sottobosco. Hailibu continuò per la sua strada. Il giorno dopo, mentre passava per il medesimo posto, Hailibu vide un piccolo lupo bianco che gli veniva incontro sullo stesso sentiero, seguito da un gruppo da altri lupi del medesimo tipo. Stupito, stava per spostarsi per lasciarli passare quando il piccolo lupo bianco disse rivolto a lui: “Salute a te, mio salvatore! Tu certo non mi riconosci, io sono la figlia del re dei lupi. Ieri mi hai salvato la vita.

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    I miei genitori mi hanno mandata qui per invitarti nella nostra casa in modo che essi possano esprimerti la loro gratitudine”. Il piccolo lupo bianco continuò: “Quando sarai là non accettare nessuno dei regali che essi vorranno offrirti, chiedi solo la pietra preziosa che mio padre tiene sempre in bocca. Se l’avrai e la terrai in bocca, potrai capire il linguaggio di tutti gli animali della Terra. Sta’ attento, però: non dovrai mai raccontare a nessuno quello che tu ascolterai dagli animali, altrimenti il tuo corpo si trasformerà in pietra e morirai!”. Hailibu annuì e seguì il piccolo lupo bianco. S’inoltrarono in una grande valle, lungo un sentiero che li condusse davanti a una grande porta; allora il piccolo lupo bianco disse: “I miei genitori ti stanno aspettando, usciranno ad accoglierti”.

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    Infatti, mentre parlava, il re dei lupi uscì e lo salutò con molto rispetto: “Tu hai salvato la vita alla mia figliola. Ti ringrazio di cuore. Dietro questa porta sono custoditi tesori di valore inestimabile, vorrei mostrarteli; prendi ciò che più ti piace”. Con queste parole condusse Hailibu dentro la casa. Le sale erano tutte piene di gioielli, ori e pietre preziose, perle, brillanti e giade in quantità enorme. Il re dei lupi lo portava da una sala all’altra mostrandogli compiaciuto tutte quelle ricchezze; Hailibu guardava ma non sceglieva nulla. Alla fine, dopo essere passati per decine e decine di stanze, il re dei lupi con grande imbarazzo, disse: “Nessuno degli oggetti preziosi che hai visto è di tuo gradimento? Non ti piace nulla?” Hailibu rispose: “Maestà sono tutti stupendi e certo di valore inestimabile, ma servono solo come ornamento e per bellezza. A un cacciatore come me non servono a nulla . Se vostra maestà desidera davvero farmi un regalo che sia per me utile e prezioso, mi dia la pietra che consuma nella bocca”.

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    Il re dei lupi rimase stupito, pensò per un attimo, infine sputò la pietra che teneva in bocca e gliela consegnò. Così Hailibu prese congedo dal re e uscì dalla reggia. Il piccolo lupo bianco lo seguì per un tratto e prima di prendere congedo da lui lo avvertì: “Ora che hai quella pietra magica, potrai conoscere ogni cosa. Ma sta’ attento! Se dirai ad anima viva quello di cui verrai a conoscenza, ti trasformerai in pietra e morirai! Non dimenticarlo mai!”. Da quel giorno Hailibu continuò ad andare a caccia come sempre, ma da allora in poi per lui tutto fu molto più semplice: con quella pietra magica egli poteva capire il linguaggio degli uccelli, degli animali piccoli e grandi, così sapeva sempre dove si trovavano le sue prede ed era facile per lui catturarle.

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    Passò molto tempo fino a quando un giorno, mentre camminava in un bosco sulla costa di un monte, sentì alcuni uccelli parlottare fra loro concitatamente mentre volteggiavano nell’aria: “Dobbiamo volare via in fretta da questo posto! Domani le montagne qui intorno saranno scosse da un terremoto tremendo ed erutteranno fuoco e fiamme; i campi saranno distrutti e bruciati e chissà quanti animali moriranno!”. Sentito questo, Hailibu non pensò più a cacciare; corse immediatamente al villaggio e radunò i suoi compaesani: “Noi dobbiamo scappare via più in fretta possibile da questo posto” disse. “Non possiamo assolutamente stare qui! Credetemi, dobbiamo andare via!” I suoi compaesani a quelle parole rimasero molto perplessi. Qualcuno pensava che Hailibu fosse diventato matto.

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    Nessuno gli credeva. Hailibu, disperato, chiese a un tratto: “Devo morire per convincervi che sto dicendo la verità?”. Alcuni anziani dissero allora: “Tutti noi sappiamo che fino ad ora tu non ci hai mai mentito. Ma adesso te ne esci parlando di disastri, di terremoti, di eruzioni, di fuoco e fiamme. Come fai a sapere queste cose? Chi te le ha dette e come mai sei così convinto che siano vere?”. Hailibu rimase un attimo perplesso: se avesse detto loro la verità sarebbe stato trasformato in pietra, se fosse fuggito via da solo tutti gli altri sarebbero periti il giorno dopo. Decise allora di raccontare tutto ciò che gli era successo, da quando aveva incontrato il piccolo lupo bianco fino a quando aveva avuto in dono la pietra magica; quale era la condizione per rimanere vivo e cosa aveva sentito dire dagli uccelli sui monti.

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    Mentre parlava, piano piano il suo corpo s’irrigidiva e si trasformava in pietra, fino a quando davanti alla gente del villaggio non rimase che una statua immobile. Nel vedere quel prodigio tutti radunarono le loro cose e le loro bestie e si allontanarono in fretta da quei luoghi. Già mentre camminavano il cielo cominciò a farsi scuro; nubi nere e minacciose coprirono l’aria mentre boati terribili scuotevano la terra e le montagne intorno. Per tutta la notte seguente una bufera tremenda sconquassò la zona e il giorno dopo le montagne eruttarono fuoco e fiamme, distruggendo ogni cosa nelle valli intorno.

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    Quando fu tutto finito gli abitanti del villaggio commentarono addolorati: “Se Hailibu non avesse sacrificato la sua vita per noi ora saremmo tutti morti in quel disastro!”. Allora cercarono la statua di pietra in cui era stato trasformato Hailibu e la portarono in cima a un monte. Da quel giorno in poi non cessarono mai di andare a rendere omaggio a quel piccolo eroe che aveva salvato le loro vite. Ancora oggi esiste quella statua e ancora oggi in Mongolia esiste un luogo che viene chiamato “il monte di Hailibu” e la gente dei dintorni non manca di andarvi in pellegrinaggio per ricordare quell’episodio e quel gesto generoso.



    sul web

    Edited by belias94 - 11/9/2019, 21:46
     
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    La scimmia e la tartaruga.



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    Compare Tartaruga si annoiava da morire: i giorni passavano sempre uguali. Il mare si estendeva all'infinito, le onde succedevano alle onde. Nessuno veniva mai a rallegrare la sua vita monotona, tranne qualche volta una balena o un gruppo di delfini, che passavano in lontananza, al largo dell'isola.
    Un giorno, scorse una scimmia che si rimpinzava di banane.
    "Perché cercare un amico nel mare?" pensò la tartaruga. "Compare Scimmia sembra un compagno ideale, certamente più simpatico di un granchio!".
    "Buongiorno Compare Scimmia! Vorresti essere mio amico?"
    "Buongiorno Compare Tartaruga! Certamente!".
    Da quel giorno trascorsero insieme tutto il loro tempo; la tartaruga non si era mai divertita tanto.

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    Un giorno la scimmia la invitò ad assaggiare le banane. Un altro, le disse:
    "Vieni, ti insegnerò ad arrampicarti sugli alberi!".
    La sera, Compare Scimmia raccontò alla moglie: "Ah! Come mi sono divertito! Avresti dovuto vederlo mentre si arrampicava su un albero! Compare Tartaruga è il mio migliore amico!".
    Anche Compare Tartaruga disse alla moglie: "Che amico meraviglioso! Come mi annoiavo prima di conoscerlo!".
    Ma Comare Tartaruga non condivideva la sua gioia e pensava: "Mio marito sta sempre con il suo nuovo amico. Devo sbarazzarmi di questa maledetta scimmia!"
    Una sera, Compare Tartaruga trovò la moglie a letto. "Sei malata?".
    "Sì, molto malata; il dottore ha detto che sto per morire e che l'unico modo per salvarmi è mangiare il cuore di una scimmia!".
    "Il cuore di una scimmia! Ma dove potrò trovarlo? L'unica scimmia che conosco è il mio amico!".
    "Allora, non mi resta che morire!" disse Comare Tartaruga con voce fioca.
    Compare Tartaruga era disperato. Rifletté a lungo e infine decise che avrebbe sacrificato il suo amico.
    Lentamente, si diresse verso la casa di Compare Scimmia.
    "Buongiorno, Compare Tartaruga! Che piacere rivederti! Qual buon vento ti porta?".
    "Mia moglie vorrebbe invitarti a cena questa sera, verrai?".
    "Certo, volentieri!". La scimmia seguì allegramente il suo amico fino in riva al mare, ma non poteva continuare non sapendo nuotare.
    "Sali sul mio guscio! - gli disse la tartaruga - Ti porterò io!".
    La scimmia si aggrappò al guscio lasciandosi trasportare tra le onde. Avrebbe voluto chiacchierare ma l'altro non rispondeva:
    "Mi sembri molto triste e silenzioso! Cosa ti è successo? Racconta: farei qualsiasi cosa per te!".
    "Ah, amico mio - finì per confessare Compare Tartaruga - c'è solo un sistema per salvare mia moglie, e cioè che tu mi dia il tuo cuore!".
    "Ahi! - pensò la scimmia - "ho detto qualsiasi cosa, ma c'è un limite a tutto! Come faccio a risolvere la situazione? Compare Tartaruga può farmi annegare da un omento all'altro!"

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    D'improvviso, si colpì la fronte.
    "E' terribile! Ti darei volentieri il mio cuore, ma dobbiamo tornare indietro a prenderlo!".
    "Il tuo cuore non si trova nel tuo petto?".
    "Come? - esclamò la scimmia - Non sai che le scimmie lasciano il cuore in una brocca, accanto alla loro casa, prima di intraprendere un viaggio?".
    La tartaruga si fermò e disse: "Ma come facciamo?".
    "È molto semplice! Riportami sull'isola e andrò a prendere il mio cuore!".
    La tartaruga tornò indietro, la scimmia saltò sulla riva e si arrampicò rapida su un albero.
    "Uff! Sono salvo! Mi hai spaventato!".
    "Ma - gridò la tartaruga - e il cuore che mi hai promesso?".
    "Il cuore? Non sei abbastanza furbo, Compare Tartaruga. Batte nel mio petto, naturalmente, e ci tengo molto! Addio!".
    Compare Tartaruga ritornò triste a casa: aveva perso un amico, ma ebbe almeno la consolazione di veder guarita la moglie.


    (una leggenda indiana)
     
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    Prova d'amore

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    (Fiabe e favole africane per bambini.)

    C'era una volta un re che aveva una figlia ammirata da tutti per la sua bellezza e bontà.
    Molti venivano a offrirle gioielli, stoffe preziose, noci di kola, sperando d'averla come sposa. Ma la giovane non sapeva decidersi.
    - A chi mi concederai? - chiese a suo padre.
    - Non so - disse il padre - Lascio scegliere a te: sono sicuro che tu, giudiziosa come sei, farai la scelta migliore.
    - Facciamo così - propose la giovane - Tu fai sapere che sono stata morsa da un serpente velenoso e sono morta. I membri della famiglia reale prenderanno il lutto. Suoneranno i tam-tam dei funerali e cominceranno le danze funebri. Vedremo cosa succederà.

    Il re, sorpreso e un po' controvoglia, accettò.
    La triste notizia si diffuse come un fulmine. Nei villaggi fu un gran parlare sommesso, spari di fucile rintronavano in segno di dolore, mentre le donne anziane, alla porta della stanza mortuaria, sgranavano le loro tristi melopee. Ed ecco arrivare anche i pretendenti della principessa. Si presentarono al re e pretesero la restituzione dei beni donati.
    - Giacché tua figlia è morta, rendimi i miei gioielli, le stoffe preziose, le noci di kola.
    Il re accontentò tutti, nauseato da un simile comportamento. Capì allora quanto sua figlia fosse prudente.
    Per ultimo si presentò un giovanotto, povero, come appariva dagli abiti dimessi che indossava.

    Con le lacrime agli occhi egli disse:
    - O re, ho sentito la dolorosa notizia e non so come rassegnarmi. Porto queste stoffe per colei che tanto amavo segretamente. Non mi ritenevo degno di lei. Desidero che anche nella tomba lei sia sempre la più bella di tutte. Metti accanto a lei anche queste noci di kola perché le diano forza nel grande viaggio.

    Il re fu commosso fino al profondo del cuore. Si presentò alla folla, fece tacere ogni clamore e annunciò a gran voce:
    - Vi do una grande notizia: mia figlia non è morta. Ha voluto mettere alla prova l'amore dei suoi pretendenti. Ora so chi ama davvero e profondamente mia figlia. E' questo giovane! E' povero ma sincero.
    Dopo qualche tempo si celebrarono le nozze con la più bella festa mai vista a memoria d'uomo.
    I vecchi pretendenti non c'erano e non si fecero più vedere.



    www.lefiabe.com

    Edited by belias94 - 12/9/2019, 14:08
     
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    La ragazza del melone


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    (Fiaba giapponese)




    C’erano una volta una coppia di anziani coniugi, senza figli. Un giorno la moglie ando’ a fare il bucato in un ruscello e vide galleggiare un bellissimo melone. Decise di portarlo a casa e di dividerlo con il marito. Quando lo aprirono, videro che dentro c’era una neonata. Ne furono felici, perche’ avevano sempre desiderato avere dei bambini per casa. Passo’ del tempo e la bambina crebbe e divento’ una bellissima ragazza. Era rispettata da tutti perche’ era gentile e generosa. La ragazza si era fidanzata con il figlio del signore di quella zona. Nella foresta viveva un’orchessa, gelosa della felicita’ della figlia del melone.

    Un giorno che i genitori si erano allontanati e la ragazza era sola in casa, l’orchessa si presento’ alla sua porta. La ragazza le apri’ e l’orchessa la chiuse in una caverna profonda e poi prese la sua forma. Ma i genitori si accorsero che c’era qualcosa che non andava nella loro figlia: era scontrosa, non aveva dato da mangiare al suo Neko, il gatto di casa, e lo trattava male, e non parlava del suo principe.Il gatto, il piu’ astuto di tutti, aveva capito tutto. Si allontano’ e ando’ nella foresta. La ragazza era molto amica dei Tanuki, i tassi della foresta. Neko chiese se sapessero dove fosse e i Tanuki gli indicarono la caverna. Cosi’ il gatto la libero’. E l’orchessa fuggi’ inseguita dagli animali che la cacciarono dalla foresta per sempre.



    www.mondobimbiblog.com

    Edited by belias94 - 16/9/2019, 11:52
     
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    La giraffa vanitosa

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    ( fiaba africana )

    In una foresta viveva una giraffa dal collo alto alto. Era bellissima, agile e snella. Tutti gli animali l'ammiravano e le facevano i complimenti. Ma la giraffa aveva il difetto di essere molto vanitosa cosi' passava tutto il suo tempo a guardarsi negli specchi d'acqua senza mai stare in compagnia degli altri animali.

    E quando questi avevano bisogno di un favore, era troppo presa a guardarsi allo specchio per aiutarli. Cosi' un giorno una scimmietta decise di darle una lezione e le disse: "Esiste un albero che ha tanti frutti dolci dolci. Con il tuo collo potresti mangiarli. Vieni che ti faccio vedere qual e'". La giraffa si mise sotto l'albero ma era cosi' alto che neppure allungando il suo collo gia' lungo riusciva a mangiare i frutti.

    La scimmietta allora le salto' sul dorso, poi le sali' sul collo fino alla testa e con le sue manine prese il frutto e glielo regalo'. Ma le disse anche: "Vedi, nella vita arriva il momento per tutti di aver bisogno di un amico". E la giraffa vanitosa imparo' la lezione.



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    readmefavole.

    Edited by belias94 - 19/9/2019, 08:31
     
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    Imparare a stare zitti


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    Gli allievi della scuola di Tendai solevano studiare meditazione anche prima che lo Zen entrasse in Giappone.

    Quattro di loro, che erano amici intimi, si ripromisero di osservare sette giorni di silenzio.

    Il primo giorno rimasero zitti tutti e quattro.

    La loro meditazione era iniziata sotto buoni auspici; ma quando scese la notte e le lampade a olio cominciarono a farsi fioche, uno degli allievi non riuscì a tenersi e ordinò a un servo:

    «Regola quella lampada!»

    Il secondo allievo si stupì nel sentire parlare il primo:

    «Non dovremmo dire neanche una parola» - osservò.

    «Siete due stupidi. Perché avete parlato?» - disse il terzo.

    «Io sono l'unico che non ha parlato» - concluse il quarto.

    [Tratta da: 101 storie zen, Adelphi]



    https://aforismi.meglio.it
     
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    La storia di Fiocco di Neve



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    Il piccolo Alim stava guardando dalla finestra la neve che scendeva, i fiocchi ballavano un dolce ritmo e si appoggiavano su tutte le cose. Sugli alberi, sopra i fili del bucato, sulle grondaie; il bambino fissò un grande fiocco che sembrava venisse proprio verso la sua casa, aprì la finestra e allungò la mano.
    Come per incanto il fiocco si adagiò sopra il suo palmo e il bambino pensava quanto sarebbe stato bello se il fiocco avesse potuto parlare e raccontare la sua avventura; era così bello, bianco e pulito, e che forma tonda aveva...

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    «E così vorresti conoscere la mia storia?»
    Alim annuì.
    «Qualche mese fa ero una goccia d'acqua e insieme ad altri miliardi di gocce vivevamo nel Mar Caspio, arrivò l'estate e io volli starmene un po' sdraiato al sole, così mi addormentai ed evaporai».
    «Quando mi risvegliai mi sentii leggero, il vento mi stava trasportando su nel cielo, finché non vidi più gli uomini; c'erano con me altri vapori e tutti insieme spinti dal vento ci appiccicavamo gli uni agli altri. Non so per quanto tempo vagammo nel cielo, eravamo saliti molto in alto, l'aria era fredda e perciò ci stringemmo tutti senza più poter muovere mani e piedi».
    «Non sapevamo dove andavamo, eravamo così grandi, grossi e lunghi da aver coperto il sole. Qualcuno disse che saremmo divenuti pioggia per tornare sulla terra. Ero felice di rivedere la terra, poi cominciai a trasformarmi in acqua e pian piano diventammo pioggia. Brrr... all'improvviso il clima divenne freddo e tutti insieme cominciammo a tremare, qualcuno vicino a me più vecchio e saggio mi tranquillizzò, ma non poté finire il discorso perché si trasformò in neve e anch'io mi trasformai in questo fiocco che ora è nelle tue mani!».

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    Mentre Fiocco di Neve prendeva fiato, Alim incantato lo pregò di continuare a parlare.
    «Bene amico mio - proseguì Fiocco di Neve - io e mille altri incominciammo a danzare nell'aria e volteggiando scendevamo lenti sulla terra, ero diventato leggero, come una piuma nel cielo, non sentivo più freddo perché il freddo era diventato parte di me. Ballando scendevo sulla terra».
    «Quando fui abbastanza vicino vidi la città di Tabriz, ero molto distante dal Mar Caspio. Un ragazzo giocava col suo cane che, abbaiando, ingoiava fiocchi di neve, ebbi paura e chiesi al vento di esaudire il mio desiderio di non finire nella sua bocca! E così fu. Il vento mi spostò poco più in là e vidi te, sperando col tuo aiuto di poter tornare acq...».

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    Fiocco di Neve non poté finire la frase perché si era sciolto ed era tornato acqua.
    Allora Alim soddisfatto pose le sue mani nell'acqua e lo fece ricongiungere con altri milioni di gocce.
    Poi il bambino si addormentò e sognò di essere una goccia di acqua fredda.

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    LA LEGGENDA DELL’ANGELO DELLA NEVE



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    C’era una volta un angelo che volava alto nel cielo. Amava volteggiare fra le nuvole e tuffarsi su esse come fossero un morbido mare di panna montata. Un giorno l’angelo, facendo capolino da uno scorcio creato da un soffio di vento, sotto di lui scorse un’altra soffice nuvola bianca che sembrava morbida proprio come le sue nuvole.

    Incuriosito si recò da San Pietro e gli chiese cosa potesse esserci di tanto bello sulla terra da essere paragonabile al suo Regno. San Pietro gli disse che quello che aveva visto era la neve. L’angelo chiese il permesso di poter scendere sulla Terra per vedere se era morbida. San Pietro disse che poteva scendere, ma che doveva far attenzione, perché non avrebbe potuto usare le ali.

    L’angelo aspettò che scendesse la notte, chiuse gli occhi e si buttò giù in picchiata. Atterrò sulla schiena, ma non sentì nulla: la neve era morbida come le nuvole. Aprì gli occhi, l’aria era fredda, un brivido gli percorse il corpo, ma era bellissimo! Stette qualche minuto così, poi provò ad alzarsi, ma non ci riuscì…il suo corpo non si muoveva.

    Provò allora a muovere le ali…si muovevano, ma non si staccavano da terra. Sbattevano su e giù lasciando sulla neve le loro impronte, ma non volevano sollevarsi. L’angelo continuò a muovere le ali senza stancarsi mai, perché comunque era una sensazione bellissima! La luna dopo qualche ora si ritirò e fece capolino il sole.

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    Il sole chiese all’angelo cosa facesse per terra. Lui, che aveva un po’ di vergogna a farsi vedere così, rispose che non era un angelo del cielo, ma bensì un angelo della neve. Il sole disse che non sapeva dell’esistenza di questo tipo di angeli. L’angelo rispose che ce n’erano pochi. Il sole chiese all’angelo cosa avrebbe fatto quando la neve si sarebbe sciolta. Era davvero una bella domanda!

    L’angelo allora fece un patto con il sole. Il sole l’avrebbe aiutato e in cambio lui sarebbe diventato il suo personale angelo della neve. Il sole allungò il suo raggio. L’angelo quando sentì il calore ebbe un po’ paura, tuttavia non avendo altra scelta, lasciò che la sua ala fosse catturata dal sole.

    In un attimo il corpo infreddolito riacquistò calore e man mano che saliva diveniva sempre più caldo, sempre di più, finché le delicate piume cominciarono a bruciare e in un attimo l’angelo prese fuoco. Il sole restò lì impietrito: non pensava che l’angelo potesse essere così delicato! Arrivò la sera e il sole era sempre più abbattuto per ciò che era accaduto.

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    Incrociò per un attimo la luna che, colpita dal suo sguardo triste, gli chiese che cosa fosse accaduto. Il sole le raccontò tutto. La luna per consolarlo, gli disse che il cielo era pieno di angeli, ma il sole rispose che quello era il SUO ANGELO DELLA NEVE ed era UNICO!

    Dopo queste parole lasciò il cielo alla luna e sparì. La luna lo guardò allontanarsi e forse non capì mai quello che aveva provato il sole, perché lei non aveva mai visto un angelo della neve e…chissà…forse nessuno ne avrebbe mai più visto un altro.

    (Tratto dalla storia scritta da Emanuela)
     
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    La forza di una foglia


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    La donna era ricoverata da qualche mese nella clinica per malati gravi. Il suo sguardo stremato indugiava sul grande acero, che poteva vedere dall'ampia finestra della sua camera al secondo piano.

    L'autunno si era sbizzarrito a colorare di arancione le foglie, una dopo l'altra. Poi, giorno dopo giorno, le foglie cominciarono a cadere. L'albero alzava verso il cielo i rami scuri e spogli come invocazioni.

    "L'ultima foglia" - disse la donna - "quando cadrà l'ultima foglia io morirò".

    La paziente era diventata così debole che riusciva a malapena a sollevare la testa per guardare dalla finestra.

    Osservava l'albero dalla mattina alla sera. Lo faceva avidamente, come se anche lei succhiasse la linfa restante.

    Alla fine sull'albero rimase una sola foglia.

    La donna la vedeva nitidamente dalla finestra della clinica.

    Una notte una forte tempesta spazzò la città, strappando e sconvolgendo alberi, tronchi, rami, semafori e cartelli pubblicitari. All'alba la donna sentì che il suo ultimo giorno era arrivato.

    Si voltò verso la finestra cercando con lo sguardo la foglia. Era avvenuto un miracolo: la foglia, quell'ultima foglia era ancora là! Aveva sfidato la tempesta e aveva vinto!

    Un'ondata di speranza travolse la donna. Fu pervasa da una forza ribelle e selvaggia: se la fragile foglia era riuscita a resistere alla violenza della bufera, anche lei avrebbe potuto sconfiggere la sua malattia!

    Solo dopo che si fu ripresa e dopo che i medici stupiti la dichiararono guarita, la donna seppe che in quella notte tempestosa suo marito aveva dipinto la foglia sul vetro della finestra.

    Non smettere mai di sperare. Trova ispirazione, esempio e forza in ciò che ti circonda. E se qualcuno a te caro ha bisogno di ispirazione e speranza, trova un modo semplice per donargliela: a te magari costa poco, ma può produrre negli altri un effetto straordinario.




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    Il principe serpente

    (un racconto della Persia)

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    C’erano una volta un re, Salariano, ed un visir, Ododino, che erano amici di lunga data. Entrambe le loro mogli aspettavano un bambino e decisero che se fossero nati un bambino e una bambina, una volta cresciuti, li avrebbero fidanzati e fatti sposare.

    Quando nacquero, la moglie del re, Palabina, partorì un serpente che venne chiamato Olorico, mentre la moglie del visir ebbe una bellissima bambina, bionda con gli occhi verdi, verdi come lo smeraldo più prezioso, per questo la chiamarono Smeralda. Smeralda e il serpente crebbero insieme, malgrado tutto: la bambina era contenta del suo amico. Smeralda era una bambina serena e molto amabile e buona, il serpente Olorico per lei non era un animale ripugnante.

    Un giorno, quando erano ormai grandi, i due stavano giocando insieme quando di colpo la pelle del serpente cadde e venne fuori un bellissimo giovane. Era un ragazzo stupendo con gli occhi color del mare e la pelle chiarissima. Smeralda rimase stupita e restò a guadarlo senza riuscire a parlare. Purtroppo, però, il ragazzo, poco dopo riprese le sembianze del serpente. Il re Salariano aveva assistito a tutto nascosto dietro ad un grande albero senza essere visto e chiese alla giovane di fare in modo che il figlio non diventasse più un serpente.

    Quando il principe Olorico improvvisamente riprese la forma umana, la ragazza gli bruciò la pelle di serpente. Lui, allora, spaventato e confuso, la guardò escomparve. Disperata, la ragazza non sapeva più a chi rivolgersi. Un giorno, mentre camminava lungo un sentiero solitario, incontrò una vecchia maga, Catarina, la quale, vedendola disperata e afflitta, le disse: “Il tuo amato Olorico è lontano da qui: dovrai consumare sette paia di scarpe per trovarlo!” Smeralda allora partì attraverso strade, boschi, deserti. Nuotò anche per i mari più profondi e i fiumi più lunghi.

    Finalmente, giunse il giorno in cui finì di consumare il settimo paio di scarpe. Lentamente, Smeralda arrivò vicino ad un castello cupo, incastrato su una montagna. Fuori c’era un leone vecchiotto e solitario che le chiese qualcosa da mangiare. Lei, allora, gentile e premurosa, gli diede l’ultimo pezzo di carne secca che le era rimasto. Poi, incontrò delle formiche, che le chiesero di aiutarle a ricostruire il proprio formicaio: lei, servizievole, fece come le era stato chiesto. Infine, sulla porta del castello c’era la porta che scricchiolava e lei usò l’ultimo olio che aveva per oliarla. Entrò nel castello, in cui viveva un genio malefico di nome Colonio che, invidioso della straordinaria bellezza del giovane principe Olorico, lo aveva imprigionato e incatenato.

    Finalmente, Smeralda lo trovò incatenato, affamato e infreddolito e immediatamente lo liberò. Ma il genio Colonio cominciò a inseguirli. Rabbiosamente, urlò alla porta: “Chiuditi e non lasciarli uscire!”. Ma la porta gli rispose: “Lei mi ha unto ed ha avuto cura di me, non posso non lasciarla uscire!”. Allora disse alle formiche: “Pungeteli e fermateli!”. Ma le formiche risposero: “Non possiamo: lei ci ha aiutato! Noi le siamo riconoscenti!”. Per finire, il genio Colonio urlò al leone: “Sbranali! Devono morire tutti e due!” “No, non posso, lei mi ha dato da mangiare! Non posso tradirla!”. Il genio Colonio non poteva allontanarsi troppo dal castello e si disintegrò nell’aria in una nuvola di fumo nero e cupo.

    Fu proprio grazie alla generosità di Smeralda, che la ragazza riuscì a liberare il principe. I due poterono così tornare al loro paese dove si sposarono e vissero felici e contenti.



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    Il lupo e le noci

    noci-fiume


    Un giorno d’autunno sotto un noce un capriolo mangiava le noci.
    Lo vide un lupo affamato che lo voleva mangiare, si avvicinò al capriolo e gli disse:
    Lo sai che tra poco ti mangerò?
    Tu mi mangerai crudo?
    Sì, ho sempre così fame che non ho la pazienza di farti arrosto.

    Mentre il lupo apriva la grande bocca e mostrava i suoi denti, arrivò una volpe che, si sa, è molto furba.
    Ciao lupo, non hai mai assaggiato le noci?
    No, io mangio solo la carne delle mie prede.
    Prova, senti come sono gustose e croccanti!

    Però né la volpe, né il lupo, né il capriolo riuscivano a rompere quel guscio.

    Volava sopra il noce un corvo nero che spiegò:
    Guardate come si fa.
    Il corvo prese una noce nel becco. Volò in alto più che poteva e andò sopra il greto del torrente Staffora. Lasciò cadere la noce sui sassi e si ruppe. Uscì il gheriglio e lo portò al lupo per farglielo assaggiare.
    Ummmmmmm, che buono! Da oggi mangerò solo le noci.

    Morale: Tutti possono essere amici



    La favola spiega perché troviamo dei gusci di noci sulle rive dei torrenti anche se vicino non ci sono alberi di noci. Anche lungo le sponde del nostro torrente Staffora, tra i sassi levigati dalle perenni acque, vediamo tanti gusci rotti a metà e se alziamo gli occhi al cielo, sul filo della luce c’è il corvo che ci guarda.

    https://www.filastrocche.it

    Edited by lisablu - 5/10/2019, 06:43
     
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    Racconti Indiani d'America


    PER VOI UOMINI BIANCHI NOI ERAVAMO SELVAGGI
    Tatanga Mani

    tratto da: "Sai che gli alberi parlano?" Ed. Il Punto d'Incontro



    Voi non avete capito le nostre preghiere. Non avete mai cercato per una volta di capirle. Quando noi cantavamo le nostre canzoni di lode al sole, alla luna o al vento, pregavamo idoli ai vostri occhi. Senza capirci, e solo perché il nostro modo di preghiera era diverso dal vostro, ci avete condannato come anime perse.
    Noi vedevamo l'opera del Grande Spirito nella sua intera Creazione: nel sole, nella luna, negli alberi, nei monti e nel vento. Talvolta ci avvicinavamo a Lui per mezzo di quello che aveva creato.
    Questo era forse cosi male?
    Io so che noi crediamo con tutto il cuore all' Essere Supremo, e la nostra fede è forse più forte di quella di tanti bianchi, che ci chiamano pagani. I selvaggi rossi furono sempre più intimamente uniti alla natura dei selvaggi bianchi.
    La natura è il libro di quella Grande Forza che voi chiamate Dio e che noi chiamiamo Grande Spirito.
    Che gran differenza fa già un nome!





    sote-archer



    IL CACCIATORE
    Jaca Book

    tratto da: "Leggende degli Indiani d'America" Ed. Demetra



    Molto tempo fa viveva un famoso cacciatore. Un giorno, mentre stava tornando a casa portando degli uccelli che aveva cacciato, vide un piccolo serpente dai colori splendenti e vivaci, che aveva un aspetto amichevole. Il cacciatore si fermò e lo osservò per qualche momento. Pensò che poteva essere affamato e così gli gettò uno dei suoi uccelli. Poche settimane dopo, passando per lo stesso luogo con alcuni conigli, vide nuovamente il serpente. Era sempre meraviglioso e aveva un atteggiamento amichevole, ma era cresciuto appena di poco. Gli gettò un coniglio e disse: "Salve", mentre riprendeva il cammino verso casa.
    Qualche tempo dopo vide ancora il serpente. Era diventato molto grosso, ma aveva ancora il suo atteggiamento amichevole e sembrava che avesse fame. Il cacciatore stava portando a casa dei tacchini, così si fermò e ne diede un boccone al serpente.
    In seguito il cacciatore stava andando a casa portando due daini sulla schiena. Questa volta il serpente dai bei colori, che era diventato molto grosso, sembrava così affamato che il cacciatore provò pena per lui e gli diede un intero daino da mangiare. Quella notte molte persone intorno al fuoco danzavano e cantavano, quando arrivò il serpente che cominciò anche lui a girare attorno, all'esterno di quelli che danzavano. Quel serpente era così grosso e lungo che circondava i danzatori e quelli ne erano come imprigionati. Il serpente era tutto ricoperto di squame graziosamente colorate e aveva sempre il suo atteggiamento amichevole, ma sembrava anche affamato e la gente cominciava ad aver paura. Cercarono di uccidere il serpente, ma questi ferito cominciò a battere la coda all'impazzata e uccise molte persone.
    Dicono che quel serpente era proprio come l'uomo bianco.



    Edited by belias94 - 7/10/2019, 12:57
     
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    IL LUPO PASTORE

    ( favola di La Fontaine con morale)


    il-lupo-pastore

    Un lupo che abitava vicino a un grande prato, vedeva ogni mattina pascolare un gregge di pecore a poca distanza da lui, ma non riusciva a trarne vantaggio.
    Decise allora di usare l’astuzia ed avvicinare le pecore mascherato da pastore.

    Il lupo si mise una casacca, prese un pezzo di legno come bastone e, per completare il travestimento, si mise al collo una zampogna.
    Così bardato sembrava proprio Bortolo, il guardiano di quel gregge.

    Intanto, il Bortolo vero dormiva tranquillo accanto al gregge. Anche le pecore e i cani dormivano tranquille sul prato.

    L’impostore si avvicinò alle pecore e quelle, non riconoscendo il lupo pastore, non scapparono, ma rimasero serene e quiete.
    Il lupo le svegliò dolcemente, con l’intenzione di spingerle verso la sua tana e fare un bel banchetto.
    Non contento di sembrare un pastore solo nell’aspetto, si mise dunque ad incitarle anche con la voce:
    Non l’avesse mai fatto!

    Gli uscì un versaccio spaventoso, simile a un ululato: “AuuuuUUUUU AuuuUUU!“.
    Il lupo si fece scoprire e terrorizzò le pecore, che si misero a belare e fuggire.
    A tanto chiasso, il pastore e i cani si svegliarono di soprassalto e corsero a dare una bella lezione al lupo, che se la svignò a gambe levate.

    Mentre fuggiva, il lupo pastore piagnucolava: “Volevo fare il furbo, ma non ci sono riuscito. Sono nato lupo e credevo di poter diventare pastore. Devo rassegnarmi ad essere quello che sono: sono un lupo ed è meglio che faccia il lupo. Meglio restare qualche volta a stomaco vuoto piuttosto che prendere tante bastonate!”.


    Morale
    La favola con morale insegna che chi è nato lupo, non può e non deve cambiare la sua natura.


    leggimiancora.altervista.
     
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    LA CASETTA DI CIOCCOLATA



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    C’era una volta due fratelli, un bambino e una bambina che amavano giocare sul prato, ma qualche volta disubbidivano ai loro genitori come tutti i bambini.

    La mamma e il papà si raccomandavano sempre:

    «Bambini, quando andate a giocare fuori casa, mi raccomando rientrate prima del buio e non andate mai nel bosco».

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    Un giorno i due bambini disubbidienti vanno proprio a giocare nel bosco e quando è l’ora di tornare a casa, non trovano più la strada e si perdono.

    Cammina, cammina e cammina si inoltrano sempre più nel bosco, viene buio, impauriti si stringono l’uno all’altro invocando la Madonna e il Signore che li aiuti.

    Ma proprio in quel momento vedono qualcosa che gli sembra di riconoscere, si avvicinano e vedono una casa, una casetta piccola in mezzo al bosco.

    Era la famosa casetta di cioccolata. Aveva i muri di cioccolato fondente, e i balconi di marzapane, il camino di liquirizia e la pietra del balcone di mandorlato e il marciapiede di orzo.

    I bimbi contenti e con la fame che si ritrovano cominciano a leccare i muri di cioccolata e dopo a mangiare il mandorlato dei balconi, e l’orzo del marciapiede, il rosolio che cade giù dalle grondaie, ma proprio in quel momento viene fuori dalla porta, che si apre piano piano, una vecchia brutta e cattiva, era la vecchia strega. Piano si si avvicina e -zacchette!li fa prigionieri.

    «Tu bambina mi andrai bene per fare le pulizie di casa, lavare e stirare e farmi da mangiare, e invece tu bambino voglio mangiarti al forno, ma sei troppo magro devo prima ingrassarti!»

    Mamma mia, una paura prende subito al cuore dei bambini. Chiude dentro ad una gabbietta il maschietto e tutte le mattine gli porta da mangiare. Alla sera va a vedere se è ingrassato e per questo si fa mostrare sempre una manina. Ma la sorella furba per salvarlo gli aveva dato una zampa di gallina, e il bambino gli mostra sempre quella.

    «Mamma mia che magro che sei ancora» dice la strega, e gli dà ancora da mangiare.

    Passano giorni mesi e settimane, finché dopo un anno un mese e un giorno la strega dice: «Oggi basta bambina, prepara la legna e dagli fuoco che cuciniamo tuo fratello».

    Quando il forno è ben caldo la strega dice: «Bambina guarda dentro che i gradi di calore siano giusti, perché devo cucinarlo a puntino tuo fratello».

    «Va bene» risponde la bimba, «ma io sono piccola ed è la prima volta che cucino, a casa lo fa sempre mia mamma, prova a sentire

    tu se il forno è ben caldo, te ne intendi di più.»

    «Giusto dice la vecchia strega.»

    Apre il portellone e avvicina la testa al forno per sentire se è caldo, la bambina svelta -tac!una spinta e la chiude dentro al forno, la strega si arrostisce e muore. Allora la bambina va da suo fratello, lo tira fuori dalla gabbia, si stringono forte forte e con il chiarore del giorno e con le storie che gli aveva raccontato la vecchia strega, trovano la strada di casa. Quando il papà e la mamma li vedono tornare, prima gli danno due sonori ceffoni perché erano stati disubbidienti, ma poi, felici di averli ritrovati gli danno due grossi bacioni.


     
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    LA RONDINE E IL PASSERO

    La rondine e il passero erano appollaiati sullo stesso ramo di un albero. A un certo punto, il passero disse alla rondine: “Quando viene il freddo, tu devi fare viaggi lunghissimi e volare dall’altra parte del mondo. Che vita orribile che è la tua!”

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    La rondine di rimando gli rispose: “Quando la neve ricopre i prati e i campi, tu rimani qui e tremi di freddo. Cerchi rifugio sotto i tetti e non trovi più cibo. Mi sembra che anche la tua vita non sia tutta rosa e fiori… Forse sarebbe meglio che, invece di lamentarti per la mia condizione, ti lamentassi per la tua!”.

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    La favola “La rondine e il passero” insegna che è da sciocchi criticare gli altri, senza vedere la nostra stessa condizione.

     
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