EDUARDO DE FILIPPO, BIOGRAFIA FOTO E POESIE

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    EDUARDO DE FILIPPO, BIOGRAFIA FOTO E POESIE




    « ... è stata tutta una vita di sacrifici e di gelo! Così si fa il teatro. Così ho fatto! Ma il cuore ha tremato sempre tutte le sere! E l'ho pagato, anche stasera mi batte il cuore e continuerà a battere anche quando si sarà fermato. »
    (Dall'ultimo discorso di Eduardo a Taormina, 1984)



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    Eduardo De Filippo, noto anche semplicemente come Eduardo (Napoli, 24 maggio 1900 – Roma, 31 ottobre 1984), è stato un drammaturgo, attore, regista, poeta e sceneggiatore italiano. Fra i massimi esponenti della cultura italiana del Novecento, è stato autore di numerosi drammi teatrali da lui stesso messi in scena e interpretati e, in seguito, tradotti e rappresentati da altri anche all'estero. Autore prolifico e versatile, lavorò nella sua lunga carriera anche nel cinema con gli stessi ruoli ricoperti nell'attività teatrale. Per i suoi alti meriti artistici e i contributi alla cultura, fu nominato senatore a vita dal presidente della Repubblica Sandro Pertini. Fu anche candidato per il Premio Nobel per la letteratura.

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    Biografia

    Figlio d'arte

    Figlio naturale dell'attore e commediografo Eduardo Scarpetta e della sarta teatrale Luisa De Filippo, Eduardo e i suoi fratelli furono riconosciuti come figli dalla madre di cui assunsero il cognome De Filippo. Eduardo Scarpetta, sposato il 16 marzo 1876 con Rosa De Filippo, da cui ebbe tre figli: Domenico, Maria e Vincenzo, ebbe una relazione extra-coniugale con Luisa De Filippo (figlia di Luca, fratello di Rosa De Filippo) da cui nacquero Titina, Peppino e Eduardo.

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    Eduardo nasce a Napoli nel quartiere Chiaia, (secondo alcuni in via dell'Ascensione n. 3, per altri in via Giovanni Bausan n. 15). A soli quattro anni è condotto per la prima volta su un palcoscenico, portato in braccio da un attore della compagnia di Scarpetta, Gennaro Della Rossa, in occasione di una rappresentazione dell'operetta La Geisha, al Teatro Valle di Roma.

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    Cresce nell'ambiente teatrale napoletano insieme ai fratelli Titina, la maggiore, che aveva già agli inizi degli anni '10 un suo posto nella compagnia di Vincenzo Scarpetta (uno dei figli legittimi di Scarpetta) e Peppino, il più piccolo che assieme ad Eduardo di tanto in tanto viene convocato per qualche apparizione in palcoscenico.

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    Nel 1912 i De Filippo vanno ad abitare in via dei Mille, e sia Eduardo che Peppino vengono mandati a studiare al Collegio Chierchia, a Foria; qui, tra tentativi di fughe ed insofferenze varie, il piccolo Eduardo inizia a dilettarsi nella scrittura, producendo la sua prima poesia, con versi scherzosi dedicati alla moglie del direttore del collegio. Rientrato a casa, parte per Roma in cerca di indipendenza economica, ospite di una zia ed in cerca di qualche lavoretto nell'ambiente cinematografico, ma senza successo. Tornato a Napoli si cimenta nelle sue prime prove d'attore: prima recita nella rivista di Rocco Galdieri, poi nella compagnia di Enrico Altieri, quindi in altre compagnie come la Urciuoli-De Crescenzo e la Compagnia Italiana. Ed è così che, tra un teatro e l'altro (San Ferdinando, Orfeo, Trianon) conosce Totò, che sarebbe diventato un suo grande amico.

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    Nella compagnia di Vincenzo Scarpetta

    Nel 1914 Eduardo entra stabilmente nella compagnia del fratellastro Vincenzo Scarpetta, raggiungendo così la sorella Titina; tre anni dopo, con l'ingresso nella compagnia di Peppino, i tre fratelli si ritrovano a recitare insieme. Alla fine della guerra, Eduardo presta servizio di leva nei Bersaglieri (II Reggimento, di stanza a Trastevere) ed è incaricato dal comando di organizzare piccole recite per i soldati, di cui è anche autore oltre che attore e direttore di compagnia. Durante questo periodo matura sempre di più la voglia e la capacità di essere anche autore e regista oltre che attore, giungendo a scrivere nel 1920 la sua «prima commedia vera e propria», Farmacia di turno, atto unico dal finale amaro rappresentato l'anno successivo dalla compagnia di Vincenzo Scarpetta.

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    Dal fratellastro, Eduardo eredita, tra l'altro, anche quella severità e quel rigore che lo caratterizzeranno per tutta la vita sul lavoro e nei rapporti con gli altri, caratteristiche sovente enfatizzate da una sorta di leggenda ma che hanno senza dubbio un fondo di verità. Vincenzo Scarpetta propone in quell'epoca un repertorio essenzialmente basato sulle commedie del celebre padre oltre a ad altre commedie, a spettacoli di rivista e a sparute incursioni nel cinema, riscuotendo un buon successo di critica e di pubblico.

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    Nel 1922 scrive Ho fatto il guaio? Riparerò! che va in scena al Teatro Fiorentini quattro anni dopo e che prende in seguito il titolo definitivo di Uomo e galantuomo; in questa commedia, tra le più comiche del repertorio eduardiano, l'autore introduce del temi che saranno una costante in numerose opere successive, come la pazzia (vera o presunta) e il tradimento, con un vago sentore pirandelliano che riporta al Ciampa de Il berretto a sonagli, seppur seguendo nella struttura del testo, il modello scarpettiano della farsa tradizionale. Curiosa la citazione che Eduardo inserisce nella commedia, quasi a mo' di rivalsa, del lavoro di Libero Bovio Mala nova e che il drammaturgo e poeta napoletano non gradì.

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    Il rilievo che Eduardo acquisisce nella compagnia di Scarpetta è già notevole, nonostante la giovane età; ciò lo porta anche a maturare, specie nelle stagioni teatrali estive, esperienze diverse come le recite con i cosiddetti "seratanti" nel 1921 o come la messa in scena di Surriento gentile, idillio musicale di Enzo Lucio Murolo opera per la quale Eduardo cura, per la prima volta nella sua lunga carriera, la regia (16 settembre 1922).

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    Dopo la morte di Eduardo Scarpetta (29 novembre 1925), Eduardo va a convivere con una giovane di nome Ninì, per la quale compone alcune poesie d'amore (tra cui E mmargarite, la più antica tra quelle in seguito pubblicate); viene raggiunto quindi dal fratello Peppino, che nel frattempo ha recitato senza alcun positivo riscontro economico, con la Compagnia Urciuoli, e che forse spera di poter anch'egli essere scritturato da Scarpetta. Ma Eduardo decide di tentare l'avventura del teatro in lingua e si fa scritturare nella compagnia di Luigi Carini come attore "brillante" convincendo l'impresario a prendere anche Peppino. Ma Peppino ci ripensa per entrare nella Compagnia Vincenzo Scarpetta come sostituto del fratello.

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    La parentesi dura poco ed Eduardo rientra nei ranghi, scrivendo nel 1926 Requie a l'anema soja (poi diventata I morti non fanno paura) in cui recita vestito da "vecchio"; così dirà, molti anni dopo in un'intervista: «Non vedevo l'ora di diventare vecchio: così, pensavo, non avrò più bisogno di truccarmi. E poi, se faccio il vecchio da adesso, lo posso portare avanti. Se invece mi metto a fare il giovane, presto diranno: "È invecchiato!"». Il tema della pazzia, stavolta vera e non presunta, torna prepotentemente nella commedia successiva, dal titolo emblematico di Ditegli sempre di sì che la compagnia di Scarpetta rappresenterà per la prima volta nel 1927.

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    Le prime esperienze in proprio

    Al termine della stagione teatrale del 1927, Eduardo tenta un esperimento "in proprio", mettendo su una sorta di cooperativa d'attori senza produttore né finanziatore diretti, e per la quale chiama i fratelli Peppino e Titina a recitare in un sodalizio artistico con Michele Galdieri (amico di Eduardo e figlio del poeta Rocco); nasce così la Compagnia Galdieri-De Filippo, di cui Eduardo è il direttore, che debutta con successo al Fiorentini di Napoli il 27 luglio con lo spettacolo dal titolo scaramantico La rivista ...che non piacerà.

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    In quel periodo Eduardo conosce Dorothy Pennington ("Dodò"), un'americana di Philadelphia di cui si innamora, nonostante l'avversione della famiglia di lei, e che sposa a Roma con il rito evangelico il 12 dicembre 1928. Intanto proseguono i tentativi di mettersi in proprio assieme ai fratelli e ancora come attore, autore e capocomico lavora nella De Filippo - Comica Compagnia Napoletana d'Arte Moderna. Sempre nel 1928 scrive l'atto unico Filosoficamente, che propone una sorta di ritratto della rassegnazione di un piccolo borghese; il testo però è il solo dell'autore napoletano a non essere mai stato portato sulla scena.

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    Nel 1929, usando degli pseudonimi (R. Maffei, G. Renzi e H. Retti), Eduardo e Peppino mettono in scena lo spettacolo comico Prova generale. Tre modi di far ridere, lavoro in tre atti con prologo ed epilogo di Galdieri, rappresentato al Fiorentini. Numerose saranno negli anni a venire, le volte in cui Eduardo si firmerà, come autore teatrale con vari pseudonimi (tra i più noti, Tricot, Molise, C. Consul); ciò al fine di superare le difficoltà che aveva in quegli anni a farsi riconoscere dagli impresari i suoi diritti d'autore.

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    "La Ribalta Gaia"

    Ma ben presto, Eduardo, Peppino e Titina vengono chiamati dall'impresario della Compagnia Molinari, appena privatasi dell'apporto di Totò che vi aveva recitato, a costituire una ditta autonoma all'interno della compagnia stessa, la Ribalta Gaia, assieme a Pietro Carloni, Carlo Pisacane, Agostino Salvietti, Tina Pica e Giovanni Bernardi. I tre ottennero un buon successo nella rivista Pulcinella principe in sogno.... Ed è all'interno dello spettacolo che viene inserita, come sketch, Sik-Sik, l'artefice magico, tra le commedie più riuscite del periodo giovanile eduardiano, rappresentata al Teatro Nuovo nel 1929 (secondo alcuni nel 1930).

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    Lo spettacolo, che narra con ilarità malinconica i risvolti amari della vita di un artista tormentato, povero e anche un po' filosofo, ottiene a Napoli un clamoroso successo di critica e di pubblico che viene in parte a mancare nella successiva rappresentazione estiva a Palermo, dove Titina, inadatta al ruolo per lei non consono di soubrette, viene fischiata.

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    Eduardo è lanciato verso il successo e collabora anche agli altri copioni della Compagnia Molinari, come autore (con Mario Mangini in Follia dei brillanti e La terra non gira, con Carlo Mauro in La signora al balcone, con Mangini e Mauro in C'era una volta Napoli, Le follie della città, È arrivato 'o trentuno, S'è 'nfuocato o sole!, Cento di questi giorni e Vezzi e riso).

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    Il Teatro Umoristico "I De Filippo"



    Dal 1931 finalmente il sogno dei tre fratelli d'arte di recitare assieme in una compagnia tutta loro diventa realtà. Eduardo fonda, raccogliendo l'adesione dei fratelli, la compagnia del Teatro Umoristico "I De Filippo", che debutta con successo a Roma. Dopo alcune recite a Milano, la compagnia è a Napoli al Teatro Kursaal (poi Filangieri) dove rappresentano O chiavino di Carlo Mauro, Sik-Sik e per la prima volta la commedia scritta da Peppino Don Rafele 'o trumbone. Vanno quindi in scena l'adattamento L'ultimo Bottone (di Munos Seca e Garcia Alvarez) e una nuova commedia scritta da Eduardo dal titolo Quei figuri di trent'anni fa (titolo originario mutato per la censura, La bisca).

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    Gli ultimi giorni dell'estate i De Filippo sono a Montecatini dove presentano alcuni sketch assieme alla soubrette emergente Ellen Meis, senza riscuotere particolare successo, prima di tornare a recitare per l'ultima volta con la Molinari. Il 1931 è anche l'anno in cui Eduardo presenta, sotto lo pseudonimo di Tricot, Ogni anno punto e da capo, in occasione di una serata della festa di Piedigrotta dedicata alla canzone al Teatro Reale, la cui prima rappresentazione avviene al Teatro Nuovo, all'interno dello spettacolo di rivista Cento di questi giorni, in occasione di una serata in onore del fratello Peppino. La scatenata verve comica dei tre fratelli risaliva alle forme farsesche dell'antica commedia dell'Arte, che Eduardo conosceva bene avendola studiata e non condividendone la visione che gli studiosi avevano di essa: si dimostrò, infatti, critico verso l'agiografia degli attori che ne veniva fatta.

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    Il cinema

    Dal 1932 Eduardo De Filippo entrò prepotentemente anche nel mondo del grande schermo, sia come attore che come regista (ed occasionalmente anche come sceneggiatore): il suo esordio sul set avvenne con Tre uomini in frac di Mario Bonnard (1932). Eduardo venne scritturato assieme al fratello Peppino da Giuseppe Amato che li aveva visti recitare al Teatro Kursaal di Napoli. Il film aveva come protagonista il celebre cantante Tito Schipa al quale i due fratelli fanno da spalla. La prima regia di Eduardo fu nel film, di cui fu anche interprete, In campagna è caduta una stella del 1940.

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    Amico e collaboratore di Vittorio De Sica, per Vittorio egli inventò alcuni personaggi divertenti in alcune pellicole (Tempi nostri e L'oro di Napoli) e curò la sceneggiatura di Matrimonio all'italiana (1964), remake di Filumena Marturano, film diretto da Eduardo nel 1951 con lui e la sorella Titina protagonisti. Nel 1950 diresse e interpretò con Totò Napoli milionaria!.

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    Dopo la regia di Spara forte, più forte... non capisco! del 1966 Eduardo abbandonò il cinema per dedicarsi alla TV, per la quale ripropose le sue commedie per tutto il decennio successivo e, nel 1984, l'anno della sua morte, interpretò il suo ultimo ruolo: il vecchio maestro nello sceneggiato Cuore, diretto da Luigi Comencini e tratto dal libro di Edmondo De Amicis.

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    Eduardo avrebbe dovuto partecipare al film Porno-Teo-Kolossal di Pier Paolo Pasolini, rimasto incompiuto per la morte prematura del regista.

    Vita privata

    La vita privata di Eduardo, frenetica e confusa nel periodo pre-bellico, trovò invece pace e serenità negli anni della vecchiaia.

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    Tre sono state le donne importanti e straordinarie nella sua vita: Dorothy Pennington (una giovane e colta americana che sposò nel 1928; il matrimonio fu annullato nel 1952 con sentenza del tribunale della Repubblica di San Marino, poi convalidata anche da quello di Napoli nel 1955), Thea Prandi (madre dei suoi figli Luisa e Luca, sposata il 2 gennaio 1956) e, infine, Isabella Quarantotti, scrittrice e sceneggiatrice che sposò il 4 febbraio 1977. Tre mesi dopo, suo figlio Luca lo fa diventare nonno.

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    Nel corso di pochi anni sopportò gravi lutti familiari: prima la morte della figlia Luisella, avvenuta il 5 gennaio 1960, poi quella della moglie (da cui si era peraltro separato l'anno prima), il 9 giugno 1961 ed infine l'addio alle scene (1953) e la morte (1963) di Titina, la sorella da sempre "ago della bilancia" tra le forti personalità di Eduardo e di Peppino. Il 4 marzo 1974, in seguito a un malore durante una rappresentazione scenica, gli fu applicato un pacemaker; tuttavia il 27 marzo era di nuovo sul palcoscenico.

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    http://it.wikipedia.org/wiki/Eduardo_De_Filippo

    foto sul web

    Edited by belias94 - 29/5/2016, 11:56
     
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    EDUARDO DE FILIPPO, LE SUE POESIE



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    E allora bevo

    Dint' a butteglia
    n'atu rito 'e vino
    è rimasto...
    Embe'
    che fa
    m' 'o guardo?
    M' 'o tengo mente
    e dico:
    "Me l'astipo”
    e dimane m' 'o bevo?"
    Dimane nun esiste.
    E 'o juorno primma,
    siccome se n'è gghiuto,
    manco esiste.
    Esiste sulamente
    stu mumento
    'e chistu rito 'e vino int' 'a butteglia.
    E che ffaccio,
    m' 'o perdo?
    Che ne parlammo a ffà!
    Si m' 'o perdesse
    manc' 'a butteglia me perdunarria.
    E allora bevo...
    E chistu surz' 'e vino
    vence 'a partita cu l'eternita'!



    Esiste sulamente
    stu mumento
    'e chistu rito 'e vino int' 'a butteglia.
    E che ffaccio,
    m' 'o perdo?
    Che ne parlammo a ffà!
    Si m' 'o perdesse
    manc' 'a butteglia me perdunarria.
    E allora bevo...
    E chistu surz' 'e vino
    vence 'a partita cu l'eternita'!



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    Napule è ’nu paese curioso


    Napule è ’nu paese curioso
    è ’nu teatro antico, sempre apierto.
    Ce nasce gente ca senza cuncierto
    scenne p’ ’e strate e sape recità.
    Nunn’è c’ ’o ffanno apposta; ma pe’ lloro
    ‘o panurama è ‘na scenografia,
    ‘o popolo è ’na bella cumpagnia,
    l’elettricista è Dio ch’ ’e fa campà.
    Ognuno fa na parte na macchietta
    se sceglie o tip o n’omm a truccatura
    L’intercalare, a camminatura
    pe fa successo e pe se fa guarda.




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    Roma


    L'orario
    e 'a strada
    pè truva' pace
    e cammena' cuieto,
    pe' fa' capi' a te stesso
    cumm'è 'o penziero
    ca tu tiene ncapa,
    si sàpe 'e sale
    si ha pigliato 'e fummo
    si vale 'a pena
    invece
    d' 'o penza',

    a Roma chesta strada ce sta sempe.
    'A truove sempe 'a strada
    'a piazza
    'o vico:

    se trova all'alba
    'e juorno
    'e notte, sempe.
    Attuorno siente 'a musica d' 'e vvoce,
    pè ll'aria
    'a luce e ll'ombra d' 'e pparole:
    parole grosse e chelli piccirelle.
    Truove 'e mountagne
    'o verde d' 'a campagna'

    e ccase d'oro
    ca se fanno rosse
    po' 'e ramma,
    cumm'attone
    e doppo 'argiento...
    Te truove overamente ncopp' 'o munno
    cuieto e sulo
    e stienne 'o passo nzieme c' 'o nzieme c' 'o penziero.




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    A gente (1949)


    A ggente ca me vede mmiez' 'a via
    me guarda nfaccia e ride. Ride e passa.
    Le vene ammente na cummedia mia,
    se ricorda ch'e' comica, e se spassa.

    Redite pe' cient'anne! Sulamente,
    v' 'o vvoglio di' pe' scrupolo 'e cuscienza:
    io scrivo 'e fatte comiche d' 'a ggente...
    E a ridere, truvate cunvenienza?

    ...Nun credo




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    O Munno d' 'e pparole (1944)

    Si t' 'o ddico nun me cride
    manco si pittass' 'o sole
    pecché 'o munno d' 'e pparole
    mpara ll'arte d' 'o pparla'.
    E tu saje ca st'arte è l'arte
    ca se sceglie 'o traditore
    pecché l'ommo senza core
    fa furtuna c' 'o pparla'.
    Io, gnorsi', pire so' chillo
    c'ha liggiuto e s'e' applicato;
    c' 'o mestiere s'ha 'mparato,
    e se serve d' 'o pparla'...

    Se capisce ca parlanno,
    nciucio, mbroglio... e faccio 'ammore.
    Ma però tengo nu core
    e cu te, che vuò parla'!




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    O Rrau (1947)


    O rraù ca me piace a me
    m' 'o faceva sulo mamma.
    A che m'aggio spusato a te,
    ne parlammo pè ne parlà.
    Io nun songo difficultuso;
    ma luvà mmel' 'a miezo st'uso.
    Sì, ba vuono: cumme vuò tu.
    Mò ce avéssem' appiccecà?
    Tu che dice? Chist' 'e rraù?
    E io m' 'o mmagno pe' m' 'o mangià...
    M' 'a faje dicere na parola?...
    Chesta è carne c' 'a pummarola.




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    Penziere meje (1948)


    Penziere mieje, levàteve sti panne,
    stracciàtev' 'a cammisa, e ascite annuro.
    Si nun tenite n'abito sicuro,
    tanta vestite che n'avit' 'a fa?
    Menàteve spugliate mmiez' 'a via,
    e si facite folla, cammenate.
    Si sentite strillà, nun ve fermate:
    nu penziero spugliato 'a folla fa.
    Currite ncopp' 'a cimma 'e na muntagna,
    e quanno 'e piede se sò cunzumate:
    un'ànema e curaggio, e ve menate...
    nzerrano ll'uocchie, primm' 'e ve menà!
    Ca ve trovano annuro? Nun fa niente.
    Ce sta sempe nu tizio canusciuto,
    ca nun 'o ddice... ca rimmane muto...
    e ca ve veste, primm' 'e v'atterrà.




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    abcd (1930)


    Nu fugliett' 'e quaderno aggiu truvato
    ncopp' a nu marciapiede. Pe' capi'
    che steva scritto me l'aggiu piglaito.
    Lettere grosse e storte: A... B... C... D...

    Mille quaderne, mille guagliuncielle:
    scriven' eguale, 'o stesso, a chell'eta'.
    Però quanno se fanno grussicielle,
    stu carattere eguale chi t' 'o da'?

    Nun capisco, se guastano p' 'a via,
    nun trovano cchiù pace... ma pecche'?
    Stùriano pe' cagna' calligrafia
    e ognuno scrive cumme vo' pare'.

    Ce hanno criato ' na manera sola,
    chi cagne e' pe' superbia,
    t'ho dich'j'...

    'E guaglinucielle, quanno vann'a scola,
    scriveno tutte eguale: A... B... C... D...




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    Edited by belias94 - 29/5/2016, 11:57
     
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