I GRANDI POETI CLASSICI...

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    LA SPOSA INFEDELE

    Federico Garcia Lorca






    E io che me la portai al fiume
    credendo che fosse ragazza,
    invece aveva marito.
    Fu la notte di S. Giacomo
    e quasi per obbligo,
    si spensero i fanali
    e si accesero i grilli.
    Alle ultime svolte
    toccai i suoi seni addormentati,
    e di colpo mi s'aprirono
    come rami di giacinti.
    L'amido della sua gonnellina
    suonava alle mie orecchie,
    come un pezzo di seta
    lacerato da dieci coltelli.
    Senza luce d'argento sulle cime
    sono cresciuti gli alberi,
    e un orizzonte di cani
    abbaia lontano dal fiume.
    Passati i rovi,
    i giunchi e gli spini,
    sotto il cespuglio dei suoi capelli
    feci una buca nella fanghiglia.
    Io mi levai la cravatta.
    Lei si tolse il vestito.
    Io la cintura e la rivoltella.
    Lei i suoi quattro corpetti.
    Non hanno una pelle così fine
    le tuberose e le conchiglie,
    né i cristalli alla luna
    risplendono di tanta luce.
    Le sue cosce mi sfuggivano
    come pesci sorpresi,
    metà piene di brace,
    metà piene di freddo.
    Corsi quella notte
    il migliore dei cammini,
    sopra una puledra di madreperla
    senza briglie e senza staffe.
    Non voglio dire, da uomo,
    le cose che ella mi disse.
    La luce dell'intendimento
    mi fa essere molto discreto.
    Sporca di baci e di sabbia,
    la portai via dal fiume.
    Con la brezza si battevano
    le spade dei gigli.
    Agii da quello che sono,
    da vero gitano.
    Le regalai un grande cestino
    di raso paglierino,
    e non volli innamorarmi
    perchè avendo marito
    mi disse che era ragazza
    mentre la portavo al fiume.


    Edited by Biker. - 24/10/2021, 16:00
     
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    CITAZIONE (belias94 @ 21/10/2021, 14:44) 

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    3DMBNFPAKBUIq8Ng-SDA7eif3iQ_3

    :ciao:
     
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    RIDE LA GAZZA NERA SUGLI ARANCI



    Salvatore Quasimodo


    Forse è un segno vero della vita:
    intorno a me fanciulli con leggeri
    moti del capo danzano in un gioco
    di cadenze e di voci lungo il prato
    della chiesa. Pietà della sera, ombre
    riaccese sopra l'erba così verde,
    bellissime nel fuoco della luna!
    Memoria vi concede breve sonno;
    ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo
    per la prima marea. Questa è l'ora:
    non più mia, arsi, remoti simulacri.
    E tu vento del sud forte di zàgare,
    spingi la luna dove nudi dormono
    fanciulli, forza il puledro sui campi
    umidi d'orme di cavalle, apri
    il mare, alza le nuvole dagli alberi:
    già l'airone s'avanza verso l'acqua
    e fiuta lento il fango tra le spine,
    ride la gazza, nera sugli aranci.



    Edited by Biker. - 24/10/2021, 15:54
     
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    Due poesie di Quasimodo, quella precedente e questa, che mi hanno insegnato ad amare il sud e le sue genti !




    LAMENTO PER IL SUD

    Salvatore quasimodo



    La luna rossa, il vento, il tuo colore
    di donna del Nord, la distesa di neve...
    Il mio cuore è ormai su queste praterie,
    in queste acque annuvolate dalle nebbie.
    Ho dimenticato il mare, la grave
    conchiglia soffiata dai pastori siciliani,
    le cantilene dei carri lungo le strade
    dove il carrubo trema nel fumo delle stoppie,
    ho dimenticato il passo degli aironi e delle gru
    nell'aria dei verdi altipiani
    per le terre e i fiumi della Lombardia.
    Ma l'uomo grida dovunque la sorte d'una patria.
    Più nessuno mi porterà nel Sud.

    Oh, il Sud è stanco di trascinare morti
    in riva alle paludi di malaria,
    è stanco di solitudine, stanco di catene,
    è stanco nella sua bocca
    delle bestemmie di tutte le razze
    che hanno urlato morte con l'eco dei suoi pozzi,
    che hanno bevuto il sangue del suo cuore.
    Per questo i suoi fanciulli tornano sui monti,
    costringono i cavalli sotto coltri di stelle,
    mangiano fiori d'acacia lungo le piste
    nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse.
    Più nessuno mi porterà nel Sud.

    E questa sera carica d'inverno
    è ancora nostra, e qui ripeto a te
    il mio assurdo contrappunto
    di dolcezze e di furori,
    un lamento d'amore senza amore.


    Edited by Biker. - 24/10/2021, 15:51
     
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    NOTTURNO

    Cesare Pavese




    La collina è notturna, nel cielo chiaro.
    Vi s'inquadra il tuo capo, che muove appena
    e accompagna quel cielo. Sei come una nube
    intravista fra i rami. Ti ride negli occhi
    la stranezza di un cielo che non è il tuo.

    La collina di terra e di foglie chiude
    con la massa nera il tuo vivo guardare,
    la tua bocca ha la piega di un dolce incavo
    tra le coste lontane. Sembri giocare
    alla grande collina e al chiarore del cielo:
    per piacermi ripeti lo sfondo antico
    e lo rendi piú puro.

    Ma vivi altrove.
    Il tuo tenero sangue si è fatto altrove.
    Le parole che dici non hanno riscontro
    con la scabra tristezza di questo cielo.
    Tu non sei che una nube dolcissima, bianca
    impigliata una notte fra i rami antichi.

     
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    grazie biker, anche per le belle immagini.
     
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    ORA CHE SALE IL GIORNO

    Salvatore Quasimodo



    Finita è la notte e la luna
    si scioglie lenta nel sereno,
    tramonta nei canali.

    E’ così vivo settembre in questa terra
    di pianura, i prati sono verdi
    come nelle valli del sud a primavera.
    Ho lasciato i compagni,
    ho nascosto il cuore dentro le vecchie mura,
    per restare solo a ricordarti.

    Come sei più lontana della luna,
    ora che sale il giorno
    e sulle pietre batte il piede dei cavalli!
     
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    NEBBIA

    Giovanni Pascoli




    E guardai nella valle: era sparito
    tutto! sommerso! Era un gran mare piano,
    grigio, senz'onde, senza lidi, unito.

    E c'era appena, qua e là, lo strano
    vocìo di gridi piccoli e selvaggi:
    uccelli spersi per quel mondo vano.

    E alto, in cielo, scheletri di faggi,
    come sospesi, e sogni di rovine
    e di silenzïosi eremitaggi.

    Ed un cane uggiolava senza fine,
    né seppi donde, forse a certe péste
    che sentii, né lontane né vicine;

    eco di péste né tarde né preste,
    alterne, eterne. E io laggiù guardai:
    nulla ancora e nessuno, occhi, vedeste.

    Chiesero i sogni di rovine: - Mai
    non giungerà? - Gli scheletri di piante
    chiesero: - E tu chi sei, che sempre vai?

    Io, forse, un'ombra vidi, un'ombra errante
    con sopra il capo un largo fascio. Vidi,
    e più non vidi, nello stesso istante.

    Sentii soltanto gl'inquïeti gridi
    d'uccelli spersi, l'uggiolar del cane,
    e, per il mar senz'onde e senza lidi,
    le péste né vicine né lontane.
     
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    LA BIMBA DAL DOLCE VISO

    Federico Garcia Lorca



    La bimba dal dolce viso
    raccoglie le ulive una a una.
    Corteggia il vento le torri,
    la prende per la cintura.
    Passano quattro a cavallo
    ogni giumenta è andalusa:
    vesti verde e scarlatto
    e grande mantella scura.
    O ragazza vieni a Cordova!

    Non li ascolta la fanciulla.

    Passano tre torerini,
    sottigliuzzi di cintura,
    con panni colore arancia,
    d’argento vecchio la spada.
    Ragazza, vieni a Siviglia!

    Non li ascolta la fanciulla.

    E quando si fece viola
    la sera in luce diffusa,
    passò un giovane recando
    rose e mirtilli di luna.
    Ragazza vieni a Granata!

    Non lo ascolta la fanciulla.

    La bimba dal dolce viso
    raccoglie le ulive una a una,
    con braccio grigio del vento
    avvolto alla cintura.


    Edited by Biker. - 31/10/2021, 15:09
     
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    Meriggiare pallido e assorto


    Poesia di Eugenio Montale




    Meriggiare pallido e assorto
    presso un rovente muro d’orto,
    ascoltare tra i pruni e gli sterpi
    schiocchi di merli, frusci di serpi.

    Nelle crepe del suolo o su la veccia
    spiar le file di rosse formiche
    ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
    a sommo di minuscole biche.

    Osservare tra frondi il palpitare
    lontano di scaglie di mare
    m entre si levano tremuli scricchi
    di cicale dai calvi picchi.

    E andando nel sole che abbaglia
    sentire con triste meraviglia
    com’è tutta la vita e il suo travaglio
    in questo seguitare una muraglia
    che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
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    Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

    Cesare Pavese



    Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
    questa morte che ci accompagna
    dal mattino alla sera, insonne,
    sorda, come un vecchio rimorso
    o un vizio assurdo. I tuoi occhi
    saranno una vana parola
    un grido taciuto, un silenzio.
    Così li vedi ogni mattina
    quando su te sola ti pieghi
    nello specchio. O cara speranza,
    quel giorno sapremo anche noi
    che sei la vita e sei il nulla.

    Per tutti la morte ha uno sguardo.
    Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
    Sarà come smettere un vizio,
    come vedere nello specchio
    riemergere un viso morto,
    come ascoltare un labbro chiuso.
    Scenderemo nel gorgo muti.
     
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    “Ai quindici di Piazzale Loreto”

    Esposito, Fiorani, Fogagnolo,
    Casiraghi, chi siete? Voi nomi, ombre?
    Soncini, Principato, spente epigrafi,
    voi, Del Riccio, Temolo, Vertemati,
    Gasparini? Foglie d’un albero
    di sangue, Galimberti, Ragni, voi,
    Bravin, Mastrodomenico, Poletti?
    O caro sangue nostro che non sporca
    la terra, sangue che inizia la terra
    nell’ora dei moschetti. Sulle spalle
    le vostre piaghe di piombo ci umiliano :
    troppo tempo passò. Ricade morte
    da bocche funebri, chiedono morte
    le bandiere straniere sulle porte
    ancora delle vostre case. Temono
    da voi la morte, credendosi vivi.
    La nostra non è guardia di tristezza,
    non è veglia di lacrime alle tombe:
    la morte non dà ombra quando è vita.


    Salvatore Quasimodo
     
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    Lentamente muore

    “Lentamente muore
    chi diventa schiavo dell’abitudine,
    ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
    chi non cambia la marcia,
    chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
    chi non parla a chi non conosce.

    Muore lentamente
    chi fa della televisione il suo guru.
    Muore lentamente chi evita una passione,
    chi preferisce il nero su bianco
    e i puntini sulle “i”
    piuttosto che un insieme di emozioni,
    proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
    quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
    quelle che fanno battere il cuore
    davanti all’errore e ai sentimenti.

    Lentamente muore
    chi non capovolge il tavolo
    quando è infelice sul lavoro,
    chi non rischia la certezza per l’incertezza
    per inseguire un sogno,
    chi non si permette almeno una volta nella vita,
    di fuggire ai consigli sensati.

    Lentamente muore
    chi non viaggia,
    chi non legge,
    chi non ascolta musica,
    chi non trova grazia in se stesso.

    Muore lentamente
    chi distrugge l’amor proprio,
    chi non si lascia aiutare
    chi passa i giorni a lamentarsi
    della propria sfortuna o della pioggia incessante.

    Lentamente muore
    chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
    chi non fa domande sugli argomenti che non conosce
    o non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

    Evitiamo la morte a piccole dosi,
    ricordando sempre che essere vivo
    richiede uno sforzo di gran lunga maggiore
    del semplice fatto di respirare.

    Soltanto l’ardente pazienza
    porterà al raggiungimento di una splendida felicità.”


    Martha Medeiros

     
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    Questa la manderei a Putin, ma riflettendoci, è troppo bella per lui...



    UOMO DEL MIO TEMPO

    Salvatore Quasimodo



    Sei ancora quello della pietra e della fionda,

    uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

    con le ali maligne, le meridiane di morte,

    t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,

    alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,

    con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

    senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,

    come sempre, come uccisero i padri, come uccisero

    gli animali che ti videro per la prima volta.

    E questo sangue odora come nel giorno

    Quando il fratello disse all’altro fratello:

    «Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,

    è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

    Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue

    Salite dalla terra, dimenticate i padri:

    le loro tombe affondano nella cenere,

    gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

     
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