FIRENZE: LA CULLA DEL RINASCIMENTO

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    ESERCIZI STORICI FIORENTINI


    Rivoire



    Nelle intestazioni delle prime ricevute emesse dalla ditta Rivoire, che ha sede dal 1872 al pian terreno dell'ottocentesco Palazzo delle Assicurazioni Generali, si legge: "Enrico Rivoire - Fabbrica di Cioccolata a Vapore". Ed è proprio per questa specialità che la ditta fiorentina divenne famosa.

    Con i tavolini all'aperto magnificamente affacciati sulla piazza e su Palazzo Vecchio, durante i primi decenni del Novecento divenne un affascinante "salotto" della città, dove ancora oggi originali arredi in legno si sposano con prodotti di qualità e servizio al tavolo.



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    Paszkowski



    Nacque nel 1846 come antica birreria assumendo dopo poco tempo quelle caratteristiche di Caffè Concerto che l'hanno fatto conoscere anche a livello internazionale.

    Punto di incontro dei protagonisti della letteratura e dell'arte degli inizi del secolo (come Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Gaetano Salvemini...), il Caffè Paszkowski presenta ancora oggi belle sale in stile primo Novecento. Tutt'oggi vi si tengono serate musicali, anche se l'epoca d'oro della letteratura fiorentina è tramontata.

    Nelle sale interne si svolgono meeting, convegni e sfilate di moda. Nel 1991 è stato dichiarato Monumento Nazionale.

    Francesco Nuti si ispirò al nome del locale per il suo film del 1988 Caruso Pascoski di padre polacco.



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    Caffè Le Giubbe Rosse



    II locale fu fondato nel 1897 dai fratelli Reininghaus, fabbricanti di birra tedeschi. Secondo la moda viennese del tempo, i camerieri indossavano giubbe rosse tanto che i fiorentini, trovando difficoltà nel pronunciare il nome straniero del caffè, preferivano dire: "andiamo da quelli delle giubbe rosse".

    Dal 1913 divenne sede fìssa dei futuristi fiorentini, trasformandosi in luogo di incontro per letterati e artisti italiani e stranieri. Tutt'oggi interamente coperto da foto, disegni e memorie dei suoi celebri frequentatori, fu sede per esempio della rissa tra i Futuristi milanesi di Marinetti e gli artisti fiorentini raccolti intorno alla rivista La Voce di Ardengo Soffici.

    Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la fama del locale decadde lentamente fino al 1991, anno in cui i nuovi gestori decisero di recuperarne l'immagine, chiamando giovani artisti e programmando incontri e manifestazioni culturali.



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    Caffè Gilli



    La presenza a Firenze del Caffè Pasticceria Gilli risale almeno al 1733. Tale data compare infatti incisa sulla facciata di un edificio posto in via Calzaiuoli, presumibilmente originaria sede del primo Caffè Gilli, oggi occupato da un self-service pizzeria. Alcune immagini fotografiche testimoniano la presenza di una pasticceria Gilli in Piazza della Repubblica in angolo con via degli Speziali già alla fine del secolo scorso.

    Il trasferimento dell'esercizio nell'attuale sede risulta avvenuto invece negli anni Venti, come testimoniano anche le vetrine e gli arredi, perfettamente conservati, che fanno oggi di questo esercizio l'unico esempio di caffetteria Belle epoque rimasta in Firenze.

    Anche questo caffè, come altri in piazza della Repubblica venne frequentato da letterati e artisti, ma a differenza di altri qui erano più rare le sfuriate e la confusione, perché gli animi più infuocati venivano tenuti maggiormente sotto controllo.

    Dopo la seconda guerra mondiale il bar era frequentato da giovani avventori squattrinati che sostavano spesso all'angolo fuori dal bar. Qui venne scattata la famosa fotografia di Ruth Orkin intitolata American girl in Italy 1951, che ben rappresenta quell'epoca: una bella ragazza americana che passa sul marciapiede davanti al bar e attira le attenzioni di tutto un gruppo di giovanotti. Poiché si diceva che chi viveva di espedienti avesse molti "chiodi", cioè debiti, il bar era soprannominato anche come Bar dei fachiri, perché erano molti dei suoi avventori a "vivere sui chiodi". Oggi invece il caffè è uno dei esclusivi della città, soprattutto ai tavoli serviti dai camerieri.


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    Piazza della Santissima Annunziata



    Piazza della Santissima Annunziata a Firenze è una piazza di grande armonia stilistica, alla quale misero mano alcuni fra i più grandi architetti rinascimentali.

    La basilica della Santissima Annunziata è il principale santuario mariano di Firenze, casa madre dell'ordine servita. La chiesa, è collocata nell'omonima piazza nella parte nord-est del centro cittadino, vicino all'Ospedale degli Innocenti.

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    Spedale degli Innocenti


    Lo Spedale degli Innocenti ("Ospedale degli Orfani") si trova in piazza Santissima Annunziata a Firenze. Fu il primo orfanotrofio d'Europa e una delle prime architetture rinascimentali. Nei primi del Quattrocento il vescovo della città Antonino Pierozzi, poi santo, promosse un processo di differenziazione dei compiti caritativi, prima svolti da generici enti plurivalenti degli spedali o delle confraternite, poi separati in strutture attrezzate per le necessità diversificate. In questa ottica razionale, derivato dal pensiero umanista, si collocano alcune istituzioni come la Confraternita dei Buonomini di San Martino per i benestanti caduti in disgrazia, e l'Oratorio di Gesù Pellegrino per i parroci anziani, ma soprattutto lo Spedale degli Innocenti, attrezzato per risolvere razionalmente il dramma dei bambini abbandonati. Il nome si ispirò all'episodio biblico della Strage degli Innocenti. Tutt'ora, nella tradizione di assistenza all'infanzia, ospita due asili nido, una scuola materna, tre case famiglia destinate all'accolgienza di bambini in affido familiare e madri in difficoltà, ed alcuni uffici di ricerca dell'Unicef. Inoltre, con la legge 451/97, l'Istituto diviene Centro Nazionale di Documentazione e Analisi sull’Infanzia e l’Adolescenza, punto di riferimento nazionale ed europeo per la promozione della cura dei diritti dell’infanzia.

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    Fu costruito su progetto di Filippo Brunelleschi a partire dal 1419 per volontà dell'Arte della Seta come istituto di beneficenza e assistenza all'infanzia. I lavori furono seguiti da Brunelleschi fino al 1436, anno in cui erano già terminati il loggiato, il chiostro degli uomini, il portico e gli edifici adiacenti, la chiesa e le stanze dei fanciulli. Nella realizzazione Brunelleschi combinò una serie di elementi toscani, come le logge gotiche che presentavano tuttavia archi a tutto sesto (la Loggia della Signoria e la Loggia del Bigallo) oppure il capitello composito con foglie di ulivo invece di acanto.

    Per non dover ricorrere a costosa manodopera specializzata, semplificò al massimo lo schema della facciata: per esempio il modulo dello spazio tra colonna e colonna non venne progettato a partire dal centro delle colonne stesse, ma dalla fine della base di ciascuna colonna (uno schema cioè con base, modulo, base, modulo, non modulo, modulo, modulo).

    Gli spazi interni vennero razionalizzati con grande cura e furono da modello per tutte le costruzioni ospitaliere successive: un'area per uomini ed una per donne che erano indipendenti. nel lungo chiostro delle donne Brunelleschi usò esili colonnine in stile ionico, lo stile "femmina" per eccellenza. Molti erano gli artifici e gli accorgimenti tecnici, come la presenza di cavature nelle colonne d'angolo che fungessero da grondaia.

    La costruzione proseguì sotto la direzione di Francesco della Luna, che si occupò degli spazi destinati alle donne, compreso il loro chiostro. L'ospedale fu consacrato l'11 aprile 1451 dal vescovo Sant'Antonino Pierozzi.

    Il loggiato, uno dei massimi capolavori dell'arte rinascimentale, è caratterizzato dall'uso dell'intonaco bianco e della pietra serena grigia che scandisce con perfetta proporzione e armonia la successione degli archi a tutto sesto della facciata. Le proporzioni sono estremamente semplici: la distanza fra le colonne è uguale alla loro altezza e alla profondità del portico, in modo da avere una successione ideale di cubi sormontati dalle semisfere degli archi. L'insieme è completato dalla presenza nei pennacchi tra gli archi di otto tondi in terracotta invetriata bianca e azzurra, eseguiti da Andrea della Robbia: non previsti da Brunelleschi, furono collocati nel 1487 e sono caratterizzati dalla presenza all'interno del tondo della figura di un neonato in fasce (divenuto poi il simbolo dello Spedale), uno dei tanti bambini abbandonati che erano accolti e allevati nell'ospedale.

    In seguito fu costruito nello stesso stile il Loggiato dei Serviti (1516-1599), e già allora la piazza rappresentò uno dei primi esempi di urbanistica razionalizzata in Europa. Il porticato della basilica della Santissima Annunziata eretto durante i lavori di ristrutturazione della chiesa 1444 -1477) era a una sola arcata; fu ampliato nel 1601 da Giovanni Battista Caccini, creando un suggestivo unicum decorativo in tutta la piazza.

    Il loggiato è decorato da alcune lunette ad affresco: la più antica, risalente al 1459, è quella sulla porta d'accesso alla chiesa, dipinta da Giovanni di Francesco e raffigurante il Padre Eterno con i santi Martiri Innocenti, mentre le due lunette alle estremità e la volta che fronteggia la porta principale sono opera di Bernardino Poccetti (inizio del XVII secolo); quella sopra la porta di destra, dipinta da Gasparo Martellini con Gesù e i fanciulli, risale invece al 1843.


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    La ruota [modifica]

    La ruotaI piccoli venivano lasciati presso la pila dell'acqua santa, posta all'estrema sinistra del porticato, poi sostituita da una ruota girevole in pietra, la cosiddetta "rota", restata in uso fino al 1875. Le madri disperate potevano così appoggiare i loro figli (i gettatelli), girare la ruota e suonare la campanella, facendoli entrare al riparo senza essere viste. Spesso lasciavano delle lettere o dei ricordini insieme ai neonati. Molto frequentemente si trattava di medaglie spezzate, con le quali si sperava di ottenere un ricongiungimento con i figli in tempi migliori.



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    Medaglie e oggettini lasciate con i bambini dalle madri

    http://upload.wikimedia.org/wikipedia/comm...5a/Medaglie.jpg

    A Firenze i cognomi "Innocenti" o "Degli Innocenti" o "Nocentini", ancora molto diffusi, sono un retaggio del nome dato normalmente ai trovatelli.


     
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    I PONTI DI FIRENZE


    PONTE VECCHIO

    ponte+vecchio




    « Tra i piloni addormentati scorre l'arno dolcemente. Nel veder gli innamorati, acconsente... acconsente.
    Benvenuto Cellini, la sua stizza appena cela, io vi tengo birichini la candela... la candela. »
    ("Sul Ponte Vecchio", Riccardo Marasco)




    Il Ponte Vecchio è uno dei simboli della città di Firenze. Attraversa il fiume Arno nel suo punto più stretto, dove nell'antichità esisteva un comodo guado.


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    La prima costruzione risale all'epoca romana, ma fu più volte danneggiata dalle alluvioni del fiume: nel 1080 esisteva un ponte in legno, mentre quello in pietra a cinque arcate costruito intorno al 1170; danneggiato nel 1222 e nel 1322 fu spazzato via dall'alluvione del 1333, una delle più violente che si ricordino. Dopo la costruzione dei "lungarni", il ponte venne ricostruito, a tre valichi, nel 1345 ed è considerato opera di Taddeo Gaddi (secondo il Vasari) o di Neri Fioravanti.

    Nel 1442 l'autorità cittadina per salvaguardare la pulizia e il decoro, impose ai beccai (macellai) di riunirsi nelle botteghe sul Ponte Vecchio per renderli un po' isolati dai palazzi e dalle abitazioni del centro. La disposizione mirava soprattutto ad eliminare le consuete, maleodoranti tracce lasciate dai barroccini dei beccai lungo le strade fino all'Arno durante il trasporto degli scarti più minuti delle lavorazioni delle carni, scarti che potevano ora disperdersi direttamente, senza alcun danno, nella sottostante corrente del fiume. Da quel momento il ponte divenne il mercato della carne ed i beccai, divenuti in seguito proprietari delle botteghe, per ottenere più spazio, vi aggiunsero in modo disordinato delle stanzette aggettanti sul fiume puntellandole con pali di legno.


    Il passaggio pedonale con i negozi di oreficeriaNel 1565 l'architetto Giorgio Vasari costruì per Cosimo I il "corridoio vasariano", con lo scopo di mettere in comunicazione il centro politico e amministrativo a Palazzo Vecchio con la dimora privata dei Medici, Palazzo Pitti. Il corridoio sopraelevato, lungo circa un chilometro e costruito in soli cinque mesi, parte da Palazzo Vecchio, passa dalla Galleria degli Uffizi, costeggia il lungarno Archibusieri, passa quindi sopra le botteghe del lato est (sinistro) del ponte, aggira alla sua estremità la torre dei Mannelli, sostenuto da beccatelli (o "sporti") e prosegue sulla riva sinistra ("Oltrarno") fino a Palazzo Pitti.

    Le botteghe dei macellai furono poi occupate da orafi e gioiellieri per ordine di Ferdinando I nel 1593 che mal gradiva un commercio poco nobile e con odori sgradevoli sotto le finestre del corridoio sospeso.

    Il Ponte Vecchio fu visitato da Hitler, Mussolini e le gerarchie naziste e fasciste in occasione del viaggio dei tedeschi in italia del 1939 in cerca di alleanze. Per quella circostanza furono aperti i tre finestroni panoramici al centro del Corridoio Vasariano. In seguito alla ritirata delle truppe naziste, questo fu l'unico ponte di Firenze che non venne fatto saltare dai tedeschi nel 1944 nel corso della seconda guerra mondiale, ciò grazie anche al provvidenziale intervento del rappresentante tedesco a Firenze Gerhard Wolf, il quale nel dopoguerra ottenne per questo ed altri meriti la cittadinanza onoraria di Firenze e che è ricordato con una targa apposta sul ponte medesimo. Furono però pesantemente danneggiati i punti di accesso al ponte, le zone di via Por Santa Maria, via Guicciardini e borgo San Jacopo che oggi sono così incongruamente moderne per via della frettolosa ricostruzione dei primi anni '50. Il Corridoio Vasariano nei convulsi giorni della liberazione rimase l'unico modo di spostarsi fra nord e sud della città, come è testimoniato anche nell'episodio dedicato a Firenze nel film Paisà di Roberto Rossellini, dove la protagonista passa in incognito da una spoglia Galleria degli Uffizi piena di statue antiche impacchettate.



    Ponte Vecchio è composto da tre ampi valichi ad arco ribassato (rapporto altezza:larghezza 1:6); per la prima volta in Occidente veniva superato il modello romano che prevedeva l'uso esclusivo di valichi a tutto sesto (ovvero arcate semicircolari) che nel caso di un ponte molto lungo richiedevano un gran numero di arcate, creando così potenziali pericoli in caso di piena (per la facile ostruzione dei valichi stretti) o una pendenza molto accentuata, soluzione ugualmente indesiderabile (casi tipici: il Ponte della Maddalena, presso Borgo a Mozzano, il Ponte Fabricio, a Roma). L'esempio fece scuola, con una simile arcata ribassata fu costruito nel XVI secolo il Ponte di Rialto a Venezia e molti altri. Il ponte di Alconétar, in Spagna, offre un esempio molto più antico di impiego di valichi ad arco ribassato, ma non riesce ad evitare il problema dell'intasamento del letto del fiume con le pile di sostegno degli archi, dato che si tratta di un ponte con numerosi piccoli valichi, in tutto simile ai tradizionali ponti con archi a tutto sesto.

    Altra caratteristica tipica, ben più evidente al turista ma meno rivoluzionaria, è il passaggio fiancheggiato da due file di botteghe artigiane, ricavate in antichi portici poi chiusi, che lo hanno reso famoso, come se si trattasse del proseguimento della strada. Le botteghe di Ponte Vecchio si affacciano tutte sul passaggio centrale, ciascuna con un'unica vetrina chiusa da spesse porte in legno, e spesso presentano un retrobottega costruito a sbalzo sul fiume e sostenuto da beccatelli (o "sporti").

    Ai quattro angoli del ponte esistevano altrettante torri che ne controllavano l'accesso: di queste resta solo la torre dei Mannelli, mentre la torre dei Rossi-Cerchi fu ricostruita dopo le esplosioni del 1944.



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    TORRE DEI MANNELLI

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    TORRE ROSSI-CERCHI

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    Il monumento a Benvenuto Cellini

    Al centro del ponte le botteghe si interrompono con due terrazze panoramiche: quella ad est è sormontata dal corridoio vasariano, mentre l'altra ospita il monumento con busto di Benvenuto Cellini, il più famoso orafo fiorentino, realizzato da Raffaello Romanelli ed inaugurato il 26 maggio del 1901.

    L'opera, che è anche dotata di fontanella, venne collocata in occasione delle celebrazioni del quarto centenario della nascita del Cellini.

    L'acqua zampilla da quattro mascheroni posti sugli spigoli del piedistallo e convogliano in altrettante vasche a valva di conchiglia eseguite da Egisto Orlandini. Sempre nel basamento ricorono alcune decorazioni tipiche dell'epoca del Cellini, come i festoni, i mascheroni, le zampe leonine, le teste di caprone (emblemi di Cosimo I) e gli anelli con diamante, presenti nell'impresa di numerosi componenti della famiglia Medici.

    La cancellata del monumento del Cellini è stata usata dagli innamorati per appendervi dei lucchetti con scritte in pennarello, simbolo di un legame amoroso che si vuole indissolubile; le chiavi del lucchetto vengono poi gettate nell'Arno affinché simbolicamente nessuno possa più toglierlo. Questa usanza, iniziata forse dai militari dell'Accademia di San Giorgio alla Costa, risale a non più di venti anni fa ed è la prima del genere, prima ancora del più conosciuto Ponte Milvio a Roma.

    L'amministrazione comunale, per porre freno l'enorme mole di lucchetti che deturpanova ormai le decorazioni del ponte, ha stabilito nel 2006 una multa di 50 euro per chi venga sorpreso ad attaccare un lucchetto alla cancellata del Cellini: l'attacco dei lucchetti si è allora spostato nelle inferriate del vicino lungarno degli Archibusieri.



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    Edited by Streguccia - 7/7/2011, 19:06
     
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    Ponte Santa Trinita


    Il Ponte Santa Trìnita a Firenze è uno dei più bei ponti di tutta Italia, e fra i più eleganti d'Europa. Unisce piazza Santa Trinita a piazza de' Frescobaldi, con due importanti palazzi a ciascuna testa di ponte: il Palazzo Spini Feroni a nord e il Palazzo della Missione a sud.


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    Fu costruito in legno nel 1252, con il patrocinio della famiglia Frescobaldi prendendo il nome dalla vicina chiesa della Santa Trinita (con l'accento spostato sulla prima sillaba), ma crollò dopo pochi anni, nel 1259 sotto il peso della folla che assisteva ad uno spettacolo sull'Arno. Fu riedificato in pietra, ma cedette sotto la spinta della grande piena del 1333 che risparmiò solo il Ponte alle Grazie. La successiva riedificazione fu lenta e durò un cinquantennio, dal 1356 al 1415.

    La nuova distruzione del 1557, sempre per via di un'alluvione, permise la costruzione della struttura odierna. La progettazione, incaricata da Cosimo I, fu ad opera di Bartolomeo Ammannati, ma pare che fu consigliato ed aiutato nel disegno da Michelangelo, il quale forse suggerì la moderna linea ellittica delle tre arcate, che pare si rifacesse ai suoi studi messi in pratica nelle tombe delle Cappelle Medicee e nella scalinata del vestibolo della Biblioteca Medicea Laurenziana. Questa linea curva è un'innovazione che anticipa la moda del barocco ed ha anche un'importante risvolto tecnico, perché ha una notevole resistenza statica chiamata anche dell'"arco di catenaria", la versione capolvolta cioè della figura che disegna una pesante catena sospesa per i suoi capi a due punti e che somiglia a una parabola.

    La realizzazione ebbe luogo fra il 1567 e il 1571 in pietra forte, di colore bruno giallognolo. Oltre che grazie alla già citata linea degli archi, il ponte deve la sua eleganza anche agli acuti piloni di sostegno, che evitano anche il rimanere di tronchi impigliati durante le piene, ai cartigli bianchi sugli archi ed alle quattro statue allegoriche che ne decorano gli angoli e che raffigurano le quattro stagioni: collocate nel 1608, due sono opera dello scultore seicentesco Pietro Francavilla (Primavera e Inverno) e due di Giovanni Caccini (Estate e Autunno), celebravano le nozze di Cosimo II con Maddalena d'Austria.

    Fino ai primi decenni del Novecento, l'11 novembre per la festività di san Martino sul ponte (con estensione anche alla parte iniziale di via Maggio), si svolgeva la caratteristica fiera dei "trabiccoli". Questi necessari attrezzi ad uso domestico, consistevano in un insieme di leggere stecche di legno che formavano una singolare grande gabbia a forma di cupola sotto la quale ad un gancio, si appendevano gli scaldini per rendere caldi i letti o per asciugare la biancheria, specialmente quella dei bambini. La "fierucola di San Martino" fatta di piccolo commercio e povero artigianato, era animata da tanti compratori richiamati dal coro dei venditori i quali sollecitavano a gran voce di comprare gli articoli spesso e volentieri eseguiti con le loro stesse mani.

    Il ponte fu distrutto dai tedeschi in ritirata il 4 agosto del 1944 e fu in seguito ricostruito dov'era e com'era inaugurandolo in 16 maggio 1958. In particolare furuno ripescate dal fiume le quattro statue decorative, ma per ritrovare la testa della Primavera si dovette aspettare fino al 1961.



    INVERNO

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    ESTATE

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    PRIMAVERA

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    AUTUNNO

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    PONTE ALLA CARRAIA


    Fu il secondo ad essere costruito dopo il Ponte Vecchio ed il suo primo nome fu appunto Ponte Nuovo.

    Le prime notizie della costruzione risalgono al 1218, il ponte inizialmente il legno fu distrutto da una piena nel 1274. Fu ricostruito presto, ma già nel 1304 cedette di nuovo per il peso della folla che lo sovrastava per assistere a uno spettacolo sul fiume.

    Dopo la disastrosa piena del 1333 fu il primo ponte a essere ricostruito, sembra seguendo un progetto di Giotto. Danneggiato nuovamente nel 1557, fu ancora ricostruito per volere di Cosimo I che commissionò l'opera all'Ammannati che già stava lavorando al Ponte Santa Trinita.

    Alla fine del diciannovesimo secolo fu allargato per permettere un passaggio più agevole per carri e carrozze. Venne minato in seguito, come tutti i ponti fiorentini, nel corso della seconda guerra mondiale e fatto saltare per impedire il passaggio delle truppe alleate dai nazisti in ritirata.

    Nel 1948 fu nuovamente ricostruito, così com'è visibile adesso, mantenendo la struttura dell'antico progetto a 5 arcate, dall'architetto Ettore Fagiuoli.



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    Ponte Amerigo Vespucci


    Il ponte è, ricostruzioni a parte, uno dei più moderni creati in città, anche se esisteva un progetto del 1908 mai realizzato, quando il quartiere di San Frediano avrebbe dovuto di lì a poco essere interessato da un piano di riqualificazione mai attuato.

    Un primo ponte al servizio del quartiere di San Frediano ("ponte di via Melegnano") fu installato nel 1949 e inaugurato l'anno successivo, realizzato riciclando i materiali provenienti dai ponti sospesi distrutti dalla ritirata tedesca, appoggiati su piloni in muratura . Così il passaggio fu utilizzato al posto del ponte alla Carraia e del ponte San Niccolò, prima della loro ricostruzione definitiva.


    Ponte Amerigo VespucciIn occasione del cinquecentenario della nascita di Amerigo Vespucci, tra il 1952 e il 1954, si svolse un concorso per la costruzione di un nuovo ponte, poi realizzato tra il 1955 e il 1957 sul progetto vincente degli architetti Giorgio Giuseppe Gori, Enzo Gori e Ernesto Nelli e dell'ingegnere Riccardo Morandi. Con una larghezza massima di 22,50 metri, un'altezza di 9,50 e le sue tre campate, ciascuna di 54,30 metri di luce, il ponte si distingue per le linee sobrie che lo fanno somigliare ad un nastro teso da una riva all'altra, con un'idea che si rifà al disegno di una strada, piuttosto che a quello delle tradizionali arcate di un ponte.

    Il nuovo ponte aveva infatti come obiettivo quello di una convivenza tacita tra vecchio e nuovo, senza cioè turbare l'equilibrio visivo in riferimento alle strutture storiche attigue, pur senza rinunciare a un'opera moderna, figlia dei tempi nella quale fu edificata. Il riuscito inserimento resta da allora un esempio su come procedere per l'inserimento di un'architettura moderna nel tessuto storico antico.



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    Ponte alla Vittoria


    La prima struttura del ponte fu fatta costruire dal Granduca Leopoldo II nel 1835 in onore di San Leopoldo, da cui prese il nome originale di Ponte San Leopoldo.

    Questa prima struttura era sospesa e collocata immediatamente a ridosso della vecchia cinta muraria della città.

    Già a quell'epoca il ponte aveva una grossa importanza commerciale in quanto collegava due vie "regie", la Pisana e la Livornese con la strada che andava verso Pistoia, la Pistoiese e, all'interno di Firenze, la zona industriale del Pignone e la stazione ferroviaria Leopolda. In pratica si univano tre importanti province e si collegava una delle principali industri fiorentine, nata nella seconda metà del 1800, con il mare e con la ferrovia.


    L'allora ponte sospeso, realizzato in metallo, fu ornato da quattro pilastri, ognuno dei quali era sormontato da un solenne leone in marmo e posto ad uno dei vertici del ponte, in stile neoclassico, perfettamente in linea con la sua epoca.

    Quando il ponte fu disfatto per essere modificato, due dei quattro leoni furono spostati e oggi si trovano all'imbocco del viale di Poggio Imperiale, presso Porta Romana, mentre gli altri due sono stati collocati nelle vicinanze del ponte, lungo il Parco delle Cascine.

    All'epoca della sua costruzione, il ponte rappresentava una sorta di dogana e per il suo attraversamento veniva richiesto un pedaggio fino al 1914 quando, in seguito a svariati tumulti, i dazi da pagare vennero modificati: pedoni gratis; pecore e maiali un centesimo a capo; cavalli e mucche 5 centesimi; infine le "vetture automobili", 40 centesimi.

    La prima guerra mondiale bloccò il rifacimento, su progetto dell'ingegner Tognetti, per il nuovo Ponte delle Cascine. La battaglia di Vittorio Veneto sancì la fine della guerra e fu da spunto per riprendere la ristrutturazione del ponte, intitolato patriotticamente alla Vittoria. In effetti, più che di un rifacimento si trattò di una nuova costruzione che sorse parallela alla precedente, che venne demolita dopo l'inaugurazione della nuova struttura nel 1932.

    Come tutti gli altri ponti di Firenze, ad eccezione del Ponte Vecchio, anche questo ponte fu minato e fatto brillare dai tedeschi in ritirata il 4 agosto del 1944.

    Vista la posizione da sempre strategica, l'amministrazione militare dette ordine di ricostruire il ponte che assunse le sembianze attuali con il cemento armato ricoperto di pietra, i parapetti in bronzo e le tra arcate.



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    Ponte alle Grazie



    Il ponte di Rubaconte [modifica]
    L'attuale ponte è datato 1957, ricostruzione del precedente e famosissimo ponte detto "Rubaconte" (dal nome del podestà Rubaconte da Mandello), costruito nel 1227. Anticamente si presentava con una struttura a nove arcate ed era il ponte più lungo e antico di Firenze, ancora più vetusto del Ponte Vecchio, che nelle forme attuali risale al 1345. Due arcate sulla riva sinistra furono chiuse nel 1347 per ampliare piazza dei Mozzi e nell'Ottocento il numero di arcate si ridusse a sei, per la costruzione dei lungarni, come testimoniano numerose fotografie Alinari del periodo.

    Questo glorioso ponte resistette a tutte le grandi alluvioni, compresa quella del 1333, che si era invece portata via il Ponte Vecchio e il Ponte Santa Trinita.

    Il ponte Rubaconte era reso caratteristico dalla presenza di numerose casette di legno, per lo più tabernacoli, poi trasformati in cappelle, romitori e botteghe, simili a quelle ancora esistenti sul Ponte Vecchio, ma poste solo all'altezza dei piloni. Fra questi c'erano le celle delle «murate», dove viveva sin dal 1320 una piccola comunità di monache di clausura trasferite poi nel Quattrocento nel monastero omonimo in via Ghibellina.

    Fra queste cappelle c'era una con una Madonna di patronato degli Alberti presente sul primo pilone dell'antica struttura, detta Santa Maria alle Grazie (attribuita al Maestro della Santa Cecilia, fine XIII-inizi XIV secolo), per via delle sue proprietà miracolose che tradizionalmente riuscivano a fare la grazia, cioè ad esaudire i desideri di chi vi si rivolgeva. Da questo tabernacolo il ponte prese il nome attuale.

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    Ponte di San Niccolò



    Fu costruito tra il 1836 e il 1837 nei pressi della omonima pescaia San Niccolò che forniva l'acqua ai mulini situati all'interno delle mura.

    In origine era un ponte sospeso, tenuto su da corde metalliche tese tra sponda e sponda dell'Arno. Il nome originario era Ponte San Ferdinando in onore del Granduca Ferdinando III di Toscana. L'opera di costruzione fu affidata a una società francese dei fratelli Marc e Jules Séguin, famosi ingegneri esperti nella progettazione di ponti metallici, che avevano avuto anche l'incarico della realizzazione ponte San Leopoldo. Pochi anni dopo fu travolto dall'alluvione del 1844, venne ricostruito nel 1853 e ancora modificato nel 1890 mantenendo sempre una struttura metallica.

    Cambiò nome in seguito alla fine del Granducato e fu intitolato a San Niccolò in onore del quartiere adiacente.

    Come tutti gli altri ponti fiorentini ad eccezione di Ponte Vecchio, fu minato e distrutto dai tedeschi in ritirata nel 1944 e ricostruito negli anni a seguire con l'attuale struttura in cemento armato, ad una sola arcata (a differenza di tutte le precedenti strutture che erano state sviluppate a tre arcate, con eccezione della prima che era sospesa).



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    Ponte all'Indiano


    Il Ponte all'Indiano[1] è tra i più recenti ponti di Firenze, che unisce i quartieri di Peretola e dell'Isolotto tramite una strada a scorrimento veloce che supera il fiume Arno poco dopo la confluenza del torrente Mugnone. Nell'angolo formato dai due corsi d'acqua si trova il mausoleo dell'Indiano[2], che dà il nome al giardino terminale del Parco delle Cascine, il cui nome fu esteso alla nuova struttura.

    Ponte strallato unico al mondo nell'ambito della sua tipologia strutturale e comportamento statico, ha una campata principale sorretta da stralli, cioè cavi di acciaio ad alta resistenza, con una luce di 206 m e impalcato in lamiera di acciaio irrigidita costituito da 2 travi a cassone trapezio collegate da traversoni e controventi orizzontali.

    Il ponte fu realizzato tra il 1972 e il 1978 dalla Società C.M.F. S.p.A. (Costruzioni Metalliche Finsider) su progetto dell'ingegner Fabrizio de Miranda con gli architetti Adriano Montemagni e Paolo Sica. Il progetto che aveva vinto il concorso nazionale di progettazione indetto dal Comune attirò subito l'attenzione anche perché prevedeva una sottostante passerella pedonale pensile non richiesta dal bando di concorso. Per le caratteristiche strutturali dell'Opera, Fabrizio de Miranda ha ricevuto ad Helsinki nel 1978 il premio europeo ECCS-CECM (Convenzione Europea della Costruzione Metallica). Infatti è il primo ponte strallato di grande luce non autoancorato (cioè tensoinflesso) realizzato nel mondo ed è il più grande ponte strallato in Italia del XX secolo.




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    Giardino delle Rose




    Il Giardino delle Rose a Firenze è un grazioso parco nella zona di Oltrarno sottostante al Piazzale Michelangelo verso ovest, in Viale Giuseppe Poggi.

    È aperto al pubblico ogni anno dal 1 maggio al 15 giugno, nel resto dell'anno è frequentato solo dagli orticultori.



    Fu realizzato nel 1865 dallo stesso architetto del piazzale, Giuseppe Poggi su incarico del Comune di Firenze in previsione dello spostamento della capitale d'Italia da Torino. Copre circa un ettaro di terreno terrazzato dal quale si gode una splendida vista panoramica della città, racchiuso fra l'attuale viale Poggi, via di San Salvatore, e via dei Bastioni.

    Già appartenuto a una villetta di proprietà dei Padri Filippini e denominato podere di San Francesco, venne poi spartito a terrazzamenti da Attilio Pucci che utilizzò la sua posizione e i muri di sostegno delle terrazze per dar vita ad una collezione di rose.

    Nel 1895 il giardino venne aperto al pubblico durante la Festa delle Arti e dei Fiori che la Società di Belle Arti e la Società Italiana di Orticoltura iniziarono a tenere ogni mese di maggio. Costruito secondo il modello alla francese ha un ambiente naturale bucolico, ma allo stesso tempo razionalizzato. Di particolare interesse è l'impianto di irrigazione, formato da una cisterna posta in alto, in prossimità del piazzale, e da una conduttura che porta l'acqua fino alle numerose prese in giardino.

    Nel 1998, il Giardino si è arricchito di uno spazio donato dall'architetto giapponese Yasuo Kitayama, un'oasi giapponese Shorai, donata a Firenze dalla città gemellata di Kyōto e dal tempio Zen Kodai-Ji.

    Oggi il giardino conta circa 1000 varietà botaniche con ben 350 specie di rose antiche.




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    Giardino Bardini



    Il Giardino Bardini si estende su un'ampia zona collinare nell'Oltrarno a Firenze, dalle pendici del Piazzale Michelangelo fino all'Arno, tra Piazza dei Mozzi, Via di San Niccolò, la Costa Scarpuccia, Costa San Giorgio e la Via di Belvedere (con vari accessi su più strade), per una superficie totale di circa quattro ettari.


    Il giardino

    Vista dal giardinoLa parte più scenografica del giardino resta la grande scalinata barocca che culmina con un piccolo edificio-belvedere, dal quale si gode una spettacolare vista sulla città. Nelle vicinanze si trovano sei fontane decorate da mosaici. Numerose sono le rose e gli iris piantati, oltre alle ortensie e altre piante decorative. Nella parte più bassa esiste un teatro verde, ricavato nella vegetazione in una concavità del terreno.

    Il giardino possiede due grotte: una semplice, simile ad una grotta naturale, nella parte più alta, vicino alla Kaffeehaus; una più decorata, situata a valle, dall'aspetto eclettico, sormontata all'ingresso da una arco in laterizi. Fanno parte della decorazione inoltre un tempietto e varie fontane.

    Nel giardino resta una parte della statuaria collocata da Bardini, sebbene in maniera frammentaria e incompleta a causa di spoliazioni che hanno disperso un fetta del patrimonio dell'antiquario.

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    Giardino dell'Orticultura


    Nel 1852, constatato il diffondersi della pratica per l'arte del giardinaggio, l'Accademia dei Georgofili nominò una Commissione con l'incarico di formare in Toscana una Società d'Orticoltura. Da qui nasce l'esigenza dell'attivazione di un Orto o Giardino Sperimentale, che si concretizzò nel 1859, anno in cui alla Società, venne concesso in enfiteusi un terreno posto fuori porta San Gallo all'inizio di via Bolognese di proprietà del Marchese Ludovico Ginori Lisci e della Marchesa Marianna Venturi.

    Dopo tre anni di lavoro la Società aveva realizzato un piantatoio, una vigna ed un pomario ed aveva impiantato nella parte bassa, verso la città, eccentriche e rare piante ornamentali.

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    Giardino Torrigiani


    È una delle poche grandi aree verdi, ancora superstiti all'interno delle mura, in stato di conservazione ottimale e costituisce un esempio tipico dello stile romantico che contrassegnò i giardini all'inizio dell'Ottocento. Già nel XVI secolo esisteva una proprietà Torrigiani nella zona detta "il Campuccio". Alla fine del XVIII secolo, con l'estinzione della famiglia, l'eredità del cardinale Luigi Torrigiani passò al pronipote Pietro Guadagni che assunse allora il nome dello zio e nella piccola proprietà del Campuccio iniziò la costruzione del giardino. Fra il 1802 e il 1817 con successivi acquisti, il nuovo marchese Torrigiani ampliò la proprietà, che da via del Campuccio si estendeva fin a via dei Serragli, alle mura, all'attuale Piazza Tasso, raggiungendo una superficie di circa dieci ettari.



    Il percorso

    Il "giorno"


    Anticamente si entrava da via dei Serragli e da lì iniziava il percorso simbolico, con una statua di Osiride, dio legato all'agricoltura, al mondo dei defunti ed alla resuirrezione; la statua sorregge delle tavole che indicano ancora le norme del giardino, un curioso vestigio di quando il parco venne aperto al pubblico nel 1824. Mani scolpite su colonne indicano ancora oggi i percorsi da seguire.

    L'ingresso attuale su via del Campuccio introduce in un ampio spazio segnato da una grande aiuola circolare quadripartita con, al centro, il grande gruppo classicheggiante, opera di Pio Fedi (l'autore del Ratto di Polissena della Loggia dei Lanzi), che rappresenta Seneca col giovane Pietro Torrigiani. Attorno si dispongono vari elementi scultorei, alcuni con ancora i sostegni in ferro originali per lanterne.


    La "notte"


    Di fianco al prato si trova un boschetto posto su una collinetta artificiale: l'oscurità della vegetazione introduceva alla seconda parte del percorso, legata al tema della notte e della morte. Si trova nel bosco un Romitorio ed alcune sculture simboliche: l'urna con il serpente e una civetta (quest'ultima opera risulta ormai dispersa). Altrettanto simbolico era poi l'ossario, una grotticina preceduta da un vialetto affiancato da erme in stile egizio, fino a giungere, dopo aver costeggiato le mura medicee, alla base della torre, dove, sotto una collinetta, esiste una vano che simboleggiava un forno crematorio: da lì le "ceneri" simboliche dell'individuo ascendevano tramite la torre ad uno stato di conoscenza più alto ed a una sorta di resurrezione.



    La torre

    Il torrinoLa torre quindi, aveva vari valori sia pratici che simbolici.

    Fu costruita dal Baccani nel 1824 per un'altezza di circa ventidue metri, ma il fatto di trovarsi su una collinetta artificiale che ne aumenta l'impatto visivo.

    La torre allude innanzitutto ai Torrigiani, che nello stemma avevavo proprio un torrino sormontato da tre stelle. Inoltre i suoi tre livelli alludono ai tre gradi del processo di iniziazione dal mondo profano a quello iniziatico della massoneria.

    Nella pratica era adibita a "specola" astronomica e nei suoi piani erano ospitate una biblioteca, una raccolta di strumenti astronomici, di armi, e sulla sommità una terrazza scoperta per l'osservazione del cielo.



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    Giardino dei Semplici


    Il Giardino dei Semplici di Firenze è una sezione del museo di Storia Naturale dell'Università degli Studi di Firenze.

    « Un Luogo Pubblico, dove... si coltivassero le piante native di climi e paesi differentissimi, affinché i giovini Studenti, le potessero in breve spazio di luogo, con facilità e prestezza imparare a riconoscere. »
    (Luca Ghini, 1543 - frase citata sulla medaglia commemorativa per i 460 anni dalla fondazione del Giardino dei Semplici)




    Ha una superficie di 2,3 ettari, di cui 1694 m² sono occupati da serre. Il disegno delle aiuole ricorda sia il modello dell’Hortus conclusus medievale dedicato alla coltivazione delle erbe medicinali e aromatiche sia lo schema del giardino segreto della villa rinascimentale.

    L'edificio principale, che occupa tutto il lato su via Micheli, ospita gli uffici, la biblioteca, un laboratorio e le serre. L'edificio, a pianta rettangolare, ha due grandi serre come corpi laterali e le strutture organizzative nella zona centrale. Altre cinque serre realizzate in vetro e metallo sono collocate nel giardino; sono serre fredde o calde che ospitano collezioni di felci, piante epifite, begonie, bromeliacee.

    Dall'edificio centrale si accede al terrazzo, coperto da due pergole in ferro con rose rampicanti dal quale, tramite una scalinata in pietra serena, si scende nel giardino; la scala è fiancheggiata da due cespugli di Feijoa sellowiana e Stranvesia, potati geometricamente. Tutti i vialetti sono pavimentati in ghiaia mentre le aiuole sono delimitate da bassi bordi in pietra. Sempre in pietra sono le panchine e il tavolino che si trovano sulla montagnola mentre gli arredi sono in ferro.



    In una nicchia nel muro di fronte all'ingresso di via La Pira, è collocato un busto in marmo di Esculapio, scolpito da Antonio Gino Lorenzi da Settignano nella seconda metà del XVI secolo.

    Al centro del giardino è situata una fontana in pietra, con zampillo centrale raffigurante un putto. La vasca ha circa 4 metri di diametro ed ospita piante acquatiche e pesci rossi.

    Oltre alla fontana centrale, con funzione prevalentemente decorativa, vi sono numerose vasche: a destra dell'ingresso, si trova una vasca in cemento utilizzata per le ninfee; altre quattro vasche si trovano sulla montagnola e ospitano collezioni di piante acquatiche.

    Alle grandi serre si accede dal giardino. All'interno trovano posto una piccola vasca e quattro roccere umide con piante di filodendro Philodendron e varie igrofile, fra le quali la capelvenere Adiantum capillus-veneris.



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    Giardino Corsini


    Il Giardino Corsini al Prato fa parte del complesso del palazzo Corsini al Prato (via il Prato, 58), da distinguere dal Palazzo Corsini sul Lungarno, appartenuto alla ricca famiglia dei Corsini a Firenze.



    La zona del Prato è un grande slargo nella zona ovest del centro storico di Firenze, un tempo non lastricata in quanto destinata al mercato settimanale del bestiame. La zona era ed è tutt'ora incuneata fra l'area di influenza del convento francescano di Santa Maria Novella e quello degli Umiliati di Ognissanti ed ospitava anche alcuni ospedali per lebbrosi che la rendevano piuttosto malsana.

    Dalla metà del Cinquecento la zona subí una vera rinascita divenendo luogo di rappresentanza e passeggio, una riqualificazione suggellata dalle nozze fra il Granduca Ferdinando I e Cristina di Lorena nel 1589, che si svolsero proprio in questa area, magnificamente arredata da scenografie creata dai grandi artisti di corte come il Giambologna, Bartolomeo Ammannati e Bernardo Buontalenti.



    Il giardino ospita circa 130 piante di agrumi, grazie anche alle ben tre grandi limonaie nelle quali le piante svernano.
    Vagano liberamente le numerose tartarughe di una numerosa colonia secolare che qui ha trovato un ambiente perfetto per la sopravvivenza e che oggi conta più di cento esemplari.
    A ovest del giardino, circondato dallo stesso alto muro di recinzione e per questo invisibile al traffico cittadino che lo costeggia, si trova l'ultimo terreno a uso agricolo del centro di Firenze, dove si estende un prato con tigli secolari.
    Numerosi ed illustri sono stati gli ospiti del palazzo da Federico IV di Danimarca al Principe di Galles Carlo Edoardo Stuart alle regine Vittoria d'Inghilterra e Margherita di Savoia.


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    FAMIGLIA FRESCOBALDI

    Fin dal XVI secolo la famiglia Frescobaldi possedeva in via Santo Spirito (il "fondaccio di Santo Spirito") alcuni edifici, uno dei quali era conosciuto anche come "Casa del Cortile", così chiamato per il vasto giardino interno; in seguito questi possedimenti (torri, casi medievali e rinascimentali) furono unificati dando vita all'attuale palazzo, tra il 1621 e il 1644, su iniziativa di Matteo Frescobaldi.



    Dietro la facciata più moderna venne quindi a essere realizzata una residenza più spaziosa e funzionale, sebbene non furono completamente cancellati alcuni segni delle strutture precedenti, come i piccoli cortili con pozzi. Al primo e secondo piano vennero quindi edificati grandi appartamenti signorili, mentre il pian terreno, che maggiormente mantenne l'aspetto primitivo, era destinato a botteghe ed attività commerciali, funzione che in parte svolge anche oggi.

    Dal portale si accede a un androne con cancello, che immette in un piccolo cortile decorato da colonne, archi ellittici ed un busto nel timpano dell'apertura principale. Da questo ambiente attraverso un altro corridoio voltato si accede al giardino interno.




    Il giardino Frescobaldi


    Del giardino non abbiamo notizie certe ma sicuramente era caratterizzato per avere come sfondo la magnifica architettura del campanile e della basilica di Santo Spirito, già finanziata a suo tempo proprio da Stoldo di Lamberto Frescobaldi ed eretta su alcuni terreni da lui donati.

    L'area verde nell'Ottocento era divisa in quattro parti con al centro una fontana barocca con concrezioni spugnose, che oggi si trova addossata alla parte posteriore e fa da sfondo all'insieme. Oggi, secondo la ristrutturazione di fine del XIX secolo, è presente un unico ampio spazio erboso, circondato da un vialetto e rallegrato da piante d'azalee. Non sono molte le decorazioni lapidee, ma resta una statua del dio Pan in pietra serena, e quelle di due cani da guardia, forse un tempo sui piedritti di una cancellata. Per un certo periodo il centro dell'aiuola è stato decorato da due sculture bronzee dell'artista contemporaneo Arnaldo Pomodoro, oggi rimosse.



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    Giardino Corsi Annalena


    Si accede al giardino da un ingresso neoclassico con due bassorilievi di fanciulle danzanti. Gli arredi del giardino fortemente improntati sui canoni del neoclassicismo costituiscono un insieme unitario.

    Un sentiero sinuoso che curva tra gli alberi porta a una statua in terracotta racchiusa in una nicchia con lentaggine, fino a una grande aiuola ellittica con aiuole geometriche in bosso; su un lato si dispone un serra, mentre al centro una fontanella ha una copia del Putto con delfino del Verrocchio. Più avanti si trova il grande parterre geometrico, con al centro un'altra fontanella.

    Tra gli arredi risulta di grande interesse la panchina semicircolare in pietra serena collocata nella parte più alta del giardino lungo le mura medicee, addossata ad una esedra decorata a festoni in stucco con una decorazione riproposta anche sulla facciata della casa prospiciente il giardino.


    La serraNumerose statue di figure mitologiche classiche adornano l'area verde, come quelle delle Muse, in terracotta, originariamente ricoperte in stucco lucidato a marmo. Si riconoscono l'una dall'altra per gli oggetti che recano in mano come ad esempio una maschera comica per Talia, una cetra per Euterpe, una lyra per Erato, un globo per Urania, secondo l'iconografia classica codificata. La bellezza dei panneggi riccamente decorati e dei volti adornati da complesse acconciature ricordano molto la statuaria ellenica

    Il manufatto più rappresentativo di tutto l'impianto è certamente il tempietto posto in corrispondenza dell'incrocio tra Via de' Mori e Via Romana, "Il tempio del Canto" realizzato nel 1810. L'elegante costruzione con facciata leggermente curva, è posto ad un'altezza di circa tre metri sopra il livello della strada e presenta una balaustra decorata con un bassorilievo raffigurante due geni, di cui uno tiene la lira e l'altro una corona d'alloro. Al di sopra quattro colonne tuscaniche sostengono un semplice cornicione e un frontone decorato con tirso e nastri volanti. In una nicchia sulla parete posteriore del tempio è stata posta una statua di Mercurio, divinità protettrice delle strade e dei viandanti che favoriva la scelta della giusta via.

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    Biblioteca Medicea Laurenziana



    La Biblioteca Medicea Laurenziana è una delle principali raccolte di manoscritti al mondo.


    Essa custodisce, nei locali disegnati da Michelangelo Buonarroti nel XVI secolo, 68.405 volumi a stampa, 406 incunaboli, 4.058 cinquecentine e, soprattutto, 11.044 pregiatissimi manoscritti[1], nonché la maggiore collezione italiana di papiri egizi. Vi si accede dai chiostri della Basilica di San Lorenzo a Firenze, da cui il nome Laurenziana. Medicea deriva invece dal fatto di essere nata dalle collezioni librarie di membri della famiglia Medici.

    I locali della Biblioteca furono disegnati per il Cardinale Giulio dei Medici, poi Papa Clemente VII da Michelangelo, che tra il 1524 e il 1534 diresse personalmente il cantiere. Alla morte del committente Michelangelo lasciò Firenze e la costruzione fu ultimata grazie all'impegno di Cosimo I de' Medici che fece terminare i lavori nel 1571, anno dell'apertura al pubblico; altri lavori furono eseguiti di tempo in tempo fino all'inizio del XX secolo.

    La biblioteca è una delle maggiori realizzazioni dell'artista fiorentino in campo architettonico, importante anche per il raro decoro di arredo interno, giunto in buono stato fino a noi.

    Nel vestibolo è presente la celebre scala tripartita disegnata dal Buonarroti per essere realizzata in legno e che poi Bartolomeo Ammannati eseguì in pietra serena. Per la prima volta si può riconoscere un'anticipazione dello stile barocco che di lì a poco avrebbe invaso l'Europa. Se infatti le linee rette delle parti laterali sono pienamente rinascimentali, i monumentali gradini centrali, di forma ellittica come una immaginaria colata di pietra, sono un'invenzione originale di Michelangelo; questa particolare linea curvata fu usata anche nei sepolcri medicei della Sagrestia Nuova e nelle arcate del Ponte Santa Trinita. Molto originale è anche la decorazione delle pareti di questo ambiente, con l'intonaco bianco che fa risaltare le doppie colonne, i timpani triangolari e le cornici di pietra serena grigia, in un ipotetico omaggio ai colori di Brunelleschi. L'ambiente sarebbe stato inizialmente concepito come un preludio oscuro alla luce della Sala di lettura, ma rimase incompleto fino agli inizi del '900, quando furono terminati i lavori della facciata esterna, con l'apertura di false finestre

    La sala di lettura, un lungo e ampio corridoio con banchi lignei, fu quasi interamente disegnata da Michelangelo, compreso il soffitto e gli stessi banchi. Le numerose finestre danno molta luce e movimentano con il loro disegno la prospettiva della sala, grazie alle numerose cornici e decorazioni architettoniche. Le splendide vetrate furono realizzate da maestranze fiamminghe su disegno di Giorgio Vasari e hanno come tema l'araldica medicea circondata da grottesche, armi ed emblemi.

    Sui banchi i codici venivano conservati orizzontalmente nei ripiani inferiori ed erano liberamente consultabili ma assicurati al bancone per mezzo di solide catene. I manoscritti erano suddivisi a seconda della materia (patristica, astronomia, retorica, filosofia, storia, grammatica, poesia, geografia) e delle tabelle lignee poste sul fianco di ogni pluteo riportavano l'elenco dei libri contenuti. Questa disposizione fu conservata fino ai primi anni del '900, quando si trasferirono i libri negli attuali depositi.

    Il soffitto in legno di tiglio, fu intagliato attorno al 1550 sulla base dei disegni michelangioleschi, mentre il pavimento, in terracotta rossa e bianca, fu realizzato a partire dal 1548 su disegno del Tribolo.

    La Biblioteca conserva oggi all'incirca 11.000 manoscritti, 2.500 papiri, 566 incunaboli, 1.681 cinquecentine e circa 120.000 edizioni a stampa (dal XVII al XX secolo). Seppure non vastissimo, il patrimonio librario è particolarmente importante in quanto risultato di scelte consapevoli che hanno creato un corpus ragionato, nel quale numerosi pezzi spiccano per antichità, pregio filologico e bellezza.

    Il nucleo della collezione libraria proviene dalle raccolte private dei Medici, per cui numerosissimi manoscritti furono copiati, spesso di pugno di umanisti del calibro di Pico della Mirandola, Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini, Marsilio Ficino e Niccolò Niccoli. Molti furono sfarzosamente miniati e rilegati.

    Nel 1757 il canonico Angelo Maria Bandini assunse l'incarico di Bibliotecario e sotto la sua direzione la biblioteca si arricchì ulteriormente. In quel periodo venne compilato un prezioso catalogo a stampa (i cosddetti plutei, dal nome dei banconi della sala michelangiolesca che allora erano ancora usati per custodire i libri) tuttora indispensabile agli studiosi per il reperimento dei volumi nei depositi. Nel 1771 arrivarono le collezioni della Biblioteca Palatina di Palazzo Pitti, anche se lo spirito razionale del Granduca Pietro Leopoldo fece spostare la maggior parte dei libri a stampa, che costituivano parte integrante della biblioteca Laurenziana, alla Biblioteca Magliabechiana (ora Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze). Nel 1783 181 manoscritti più antichi vennero convogliati qui.

    Nel 1818 il bibliofilo fiorentino Angelo Maria d'Elci donò la sua preziosa raccolta di prime edizioni di classici latini e greci appositamente rilegate; alla fine dell'Ottocento l'acquisto della biblioteca di Lord Bertram Ashburnham arricchì ulteriormente il patrimonio librario di preziosi codici, molti dei quali di origine italiana, come il trattato di Architettura civile e militare di Francesco di Giorgio Martini, il codice delle Rime del Petrarca fregiato delle armi di Galeazzo Maria Sforza e persino un piccolo e mirabile Libro d'Ore, probabilmente appartenuto alla famiglia di Lorenzo il Magnifico.

    La biblioteca è tuttora aperta agli studiosi, che possono ottenere in consultazione nell'apposita sala (che ha sostituito negli anni '70 la Tribuna Elci) tutti i volumi della collezione, o nel caso di volumi troppo delicati per essere manipolati, i microfilm.



    Grazie alla mia Prof. di letteratura ho avuto l'onore di poter visitare la biblioteca, ci fecero entrare tre alla volta e per estrarre i libri, legati agli scranni con delle catenelle, fummo costretti ad indossare dei guanti.



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    Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze

    La Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze si trova in un edificio monumentale sul Lungarno all'altezza della Piazza dei Cavalleggeri. È una delle più importanti biblioteche europee e la più grande biblioteca italiana.

    Possiede infatti 5.627.205 volumi a stampa, 2.689.672 opuscoli, 24.988 manoscritti, 3.715 incunaboli e conta 599.970 opere consultate all'anno 2006.

    Le scaffalature dei depositi librari coprono attualmente 105 Km lineari, con un incremento annuo di 1 Km e 475 metri.

    Il nome è abbreviato con la sigla BNCF.

    Il governo granducale, per incrementare la nascente Biblioteca, stabilì nel 1737 che vi fosse depositato un esemplare di ciascuna le opera stampata a Firenze e in seguito, dal 1743, in tutto il territorio del Granducato di Toscana.

    La prima apertura al pubblico risale al 1747, con il nome di Biblioteca Magliabechiana. Negli anni successivi fu arricchita da numerosi lasciti e donazioni, a cui si aggiunsero nel tempo le librerie degli ordini e corporazioni religiose soppresse a partire dagli anni '70 del Settecento con un culmine con la riforma napoleonica del 1808.


    Manoscritto miniato dell'Offiziolo di Gian Galeazzo ViscontiNel 1861 la Magliabechiana venne unificata con la Biblioteca Palatina, cioè "di palazzo", creata dai Lorena, che ereditarono il titolo granducale ed il governo della città dopo l'estinzione dei discendenti dei Medici. Questa raccolta libraria era stata costituita da Ferdinando III di Toscana e continuata dal suo successore Leopoldo II. In seguito alla fusione la biblioteca assunse il nome di Biblioteca Nazionale e dal 1885 anche l'appellativo di Centrale. Dal 1870 riceve per diritto di stampa una copia di tutto quello che viene pubblicato in Italia.

    Con l'alluvione di Firenze del 1966 la biblioteca divenne il triste simbolo nel mondo, assieme al Crocifisso di Cimabue del vicino convento di santa Croce, dei danni irreparabili inflitti al patrimonio culturale della città dalla catastrofe naturale.

    La sua vicinanza al fiume fece sì che venisse completamente inondata fino a sei metri di altezza, in particolare allagando i depositi sotterranei dove venivano conservato i nuclei più preziosi della biblioteca. I gravissimi danni, in particolare all'intera emeroteca, alla preziosa raccolta delle Miscellanee, al fondo Magliabechiano, al fondo Palatino e a numerose altre raccolte, nonché a tutti i cataloghi a schede e a volume, all'apparato bibliografico delle sale di lettura e agli arredi, furono in parte arginati dal tempestivo aiuto dei cosiddetti Angeli del Fango, un esercito di volontari provenienti da tutto il mondo che lavorò instancabilmente, nel freddo di novembre e in condizioni precarie senza corrente elettrica, per salvare il salvabile, recuperando i libri e mettendoli temporaneamente al sicuro in attesa di un possibile restauro. Il direttore della BNCF di allora, Emanuele Casamassima, liquidò il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, venuto in visita ai luoghi del disastro, con la laconica frase "Presidente, ci lasci lavorare".

    Una parte rilevante dei fondi danneggiati è stata così recuperata ad opera del Centro di restauro creato per l'occasione, ma una parte consistente del patrimonio librario è andata definitivamente distrutta.

    Originariamente la Biblioteca aveva sede, come tutti gli uffici pubblici dell'amministrazione granducale, nei locali del complesso degli Uffizi; nel 1935 fu trasferita nella sua sede attuale, costruita, a partire dal 1911, su progetto dell'architetto Cesare Bazzani, successivamente ampliato dall'architetto Vincenzo Mazzei. La costruzione del complesso, uno dei rari esempi di edilizia bibliotecaria, impiegò le energie cittadine di tutto il primo trentennio del Novecento, con l'interruzione dovuta alla Prima guerra mondiale.

    Il luogo scelto per la costruzione era una superficie di 10.000 metri quadrati, occupata all'epoca dalla caserma dei Cavalleggeri e compresa tra il complesso di Santa Croce, il fiume Arno e delimitata a sud dal corso dei Tintori, una dislocazione che si rivelerà tristemente sbagliata in occasione dell'alluvione di Firenze. La prima parte ad essere completata (1929) fu quella della tribuna dantesca e galileiana posta in angolo quindi una parte più monumentale che funzionale, mentre le sale di lettura erano provvisoriamente collocate nel locale della libreria dell'ex convento di Santa Croce.

    Il complesso fu inaugurato il 30 ottobre del 1935, ma sin dall'inaugurazione l'edificio furono notate alcune carenze riguardo ad alcune funzioni, come gli uffici per il personale o una sede per la sezione rari ed incunaboli, anche a causa della mancata realizzazione di un secondo corpo, previsto nel progetto Bazzani. Tale porzione fu realizzata solo nel 1962 su progetto dell'architetto Mazzei, saldando l'ala ovest dell'edificio con il complesso del chiostro di Santa Croce. Altre parti del progetto originario non furono mai realizzate, per le critiche all'architettura ed anche per motivi economici, come l'ampia piazza davanti alla facciata e prospiciente l'Arno, per la quale erano state scolpite le due statue di Dante e Galileo che oggi sono incassate nelle due torrette in cima alla facciata; inoltre si eliminò un attico previsto sulla facciata e tre dei sei magazzini previsti; l'ala nord-ovest avrebbe dovuto avere una facciata simile a quella sull'Arno, ma non fu mai realizzata.

    Gli spazi interni sono organizzati secondo due assi che si incrociano nell'ampia e monumentale sala di distribuzione: quello parallelo al fiume con gli uffici, le sale per i periodici e le sale di lettura, di distribuzione e dei cataloghi, e quello che dal portico d'ingresso porta sul retro dove ci sono i magazzini librari. L'impianto fortemente classicheggiante presenta numerosi archi e colonne ed uno scalone monumentale. Il salone di lettura, a pianta rettangolare, è caratterizzato da arcate sorrette da colonne con capitelli ionici.

    Dal 1886 al 1957 la Biblioteca ha pubblicato il "Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa", poi diventato a partire dal 1958 "Bibliografia nazionale italiana".

    La BNCF è sede pilota nella creazione del Servizio Bibliotecario Nazionale che ha come obiettivo l'automazione e informatizzazione dei servizi bibliotecari e la costruzione di un indice nazionale delle raccolte librarie possedute dalle biblioteche italiane. Nella sala di ricerca i cataloghi cartacei sono stati sostituiti da circa un decennio da computer, con i cataloghi interamente consultabili su internet.

    Nel novembre 2006 ha accolto le celebrazioni per i quarant'anni dell'opera di aiuto degli Angeli del Fango durante l'alluvione di Firenze.


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    IL SASSO DI DANTE



    UNA DELLE METE DI OGNI TURISTA CHE SI RECA A FIRENZE E' LA VISITA AL DUOMO.IN POCHI SANNO CHE VICINO A ESSO C'E' UNA PIAZZETTA: PIAZZA DELLE PALLOTTOLE (IL GIOCO DELLE PALLOTTOLE ERA SIMILE AL GIOCO DELLE BOCCE).
    iN QUESTA PIAZZA, CHE OGGI E' MOLTO PIU' PICCOLA RISPETTO A UN TEMPO, DANTE ERA SOVENTE SEDERSI SU UN GROSSO SASSO PER SEGUIRE I LAVORI DI COSTRUZIONE DEL DUOMO,PRIMA CHE L'ESILIO LO ALLONTANASSE PER SEMPRE DALLA SUA CITTA'.
    SI NARRA CHE IL SOMMO POETA AVESSE UNA MEMORIA PRODIGIOSA E A TAL PROPOSITO C'E' UNA LEGGENDA CARA AI FIORENTINI.

    UN GIORNO MENTRE L'ALIGHIERI ERA SEDUTO SUL SASSO, PASSO' DI LI UN SUO CONOSCENTE CHE GLI CHIESE:

    " OH DANTE ICCHE' TI PIACE DI PIU' DA MANGIARE?"

    "L'OVO" RISPOSE DANTE.

    l'ANNO SEGUENTE, LA STESSA PERSONA, RIPASSO' DI LI E TROVO' DANTE SEDUTO SUL SASSO E GLI CHIESE:

    "CO' ICCHE'?"

    "CO I' SALE!" RIBATTE IL POETA.

    OGGI A RICORDO DI QUEL SASSO C'E' UNA LAPIDE POSTA SULLA FACCIATA DI UNA CASA.

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    TESTO: MIEI RICORDI

    FOTO: firenzecuriosità.blogspot.com
     
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    VILLA MEDICEA DI CAREGGI




    La Villa Medicea di Careggi è una delle più antiche tra le ville appartenute alla famiglia Medici. Si trova nella zona leggermente in collina del quartiere periferico di Careggi a Firenze, in via Gaetano Pieraccini 17.

    Almeno dal Trecento la zona di Careggi era densa di prestigiosi possedimenti di ricchi fiorentini, come testimonia il visitatore Giovanni Villani nel 1325:

    « un bello paese di villate, meglio accasato e giardinato di altre terre »


    Nel 1417 Giovanni di Bicci de' Medici, il capostipite della fortuna medicea, acquistava sul colle chiamato di Monterivecchi alcuni terreni e possedimenti da Tommaso Lippi, con un contratto datato 7 giugno di quell'anno. Si tratta della terza villa campestre di famiglia, dopo quelle di Cafaggiolo e del Trebbio nel Mugello, e rappresenta la più vicina Firenze, quindi anche un acquisto strategicamente scelto in maggiore prossimità verso quel centro cittadino al cuore degli interessi della famiglia. Queste ville erano anche un luogo di riposo e di pace, ma anche veri e propri centri economici, che con le attività agricole non solo si potevano automantenere, ma rappresentavano anche delle fonti sicure di reddito.

    In un primo tempo le ville erano arroccate e fortificate come castelli medievali, poi gradualmente vengono rilanciate come loci ameni, dove è possibile praticare l'ozio intellettuale e la salutare vita all'aria aperta, dagli umanisti toscani, attraverso la riscoperta dei classici di Seneca, Varrone, Marziale, Catone e Virgilio. In particolare queste idee vennero diffuse dalla metà del Quattrocento da Leon Battista Alberti nel De re aedificatoria e nel trattato della Villa.

    La villa di Careggi viene ristrutturata quindi in un periodo di transizione, la prima metà del Quattrocento, tra la tipologia rustica e fortificata e quella sontuosa e ricreativa, aperta verso le campagne e i giardini. E anche la sua architettura esemplifica il passaggio con elementi appartenenti sia alla prima che alla seconda tendenza.

    Al momento dell'acquisto la tenuta di Careggi era composta da un palazzo dotato di corte, loggia, pozzo, cantina, stalla, torre, orto e due case, come viene riportato nel contratto di compravendita. Lo stato degli immobili doveva essere molto buono, perché non vi furono apportate modifiche inizialmente.

    Solo in seguito alla morte di Giovanni (1429) i suoi figli Cosimo de' Medici e Lorenzo il Vecchio approntano alcuni interventi affidando l'incarico a Michelozzo, ben prima dei lavori alla residenza cittadina di Palazzo Medici in Via Larga (iniziati verso il 1444). Di questi lavori non abbiamo nessuna descrizione ma ci resta la registrazione della spesa, e giudicando la somma stanziata dovettero essere sostanziali con un intervento piuttosto massiccio.

    I lavori sembrano conclusi nel 1427, secondo una lettera di Contessina de' Bardi, moglie di Cosimo, che farebbe capire che la villa è completa. In ogni caso erano sicurmanete conclusi in occasione della visita di Galeazzo Sforza a Firenze del 1459 il quale lodò il luogo e la bellezza della villa.

    Studi sulla planimetria e sulle fondazioni hanno dimostrato che Michelozzo agì minimamente sulla pianta dell'edificio originario. I lavori si concentrarono quindi sugli ambienti interni, a partire dal cortile, e sull'alzato del palazzo. Il ballatoio merlato creato sulle pareti esterne è un retaggio di impianto medievale (lo si trova per esempio al Trebbio), ma inserito nell'impianto più ampio della villa sembra più una citazione che un elemento creato per esigenze difensive. In definitiva l'aspetto della villa è più quello di un palazzo che di una fortificazione, particolarmente evidente se confrontato con le ville più arcaiche del Trebbio e di Cafaggiolo. La villa aveva mantenuto una torretta merlata, raffigurata in disegni e stampe fino al Seicento. A Michelozzo sono anche attruibuite le due ali laterali che si protendono a ovest verso il giardino, più basse del corpo centrale e che sono caratterizzate al pian terreno da due logge aperte con tre arcate ciascuna e capitelli compositi simili a quelli del cortile.

    Cosimo il Vecchio intuì già, riprendendo la lezione degli antichi, la vocazione culturale dei luoghi, dove lo studio e la speculazione filosofica potevano svolgersi nella rilassata amenità della campagna. Vi trasferì infatti la sua biblioteca e una parte della collezione di oggetti e opere d'arte; inoltre aveva donato a Marsilio Ficino un'abitazione nei pressi della villa per averlo sempre vicino alla sua famiglia

    Nella villa nacque e morì Lorenzo il Magnifico (1448-1492), il quale ereditò la villa dal nonno dopo la breve parentesi del governo di suo padre Piero il Gottoso. Lorenzo elesse Careggi come sua residenza preferita e qui vi fece riunire il circolo dell'Accademia Neoplatonica, organizzando nella villa il centro culturale e artistico del primo Rinascimento per eccellenza. Tra i frequentatori dell'Accademia vi erano i maggiori umanisti dell'epoca: Marsilio Ficino, Agnolo Poliziano e Pico della Mirandola.

    L'umanesimo fiorentino faceva suoi numerosi simboli del passato, in un clima che potremmo definire esoterico (nel senso di correlato a una cultura da iniziati), dove le statue, gli oggetti d'arte e il paesaggio stesso incarnavano ideali astratti. A questo periodo risalgono il caminetto con bassorilievi nel salone del primo piano (datato 1465) e forse (l'attribuzione è molto discussa) la loggetta panoramica sempre al primo piano, attribuita a Giuliano da Sangallo. Questa struttura, non in linea con il resto dell'edificio, potrebbe risalire all'ultimo periodo della vita di Lorenzo il Magnifico, o forse al secondo decennio del Cinquecento.

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    DA WIKIPEDIA.ORG
     
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  9. anto65
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    VILLA DEL POGGIO IMPERIALE




    L'Istituto Statale della Ss. Annunziata per molti aspetti e per molte generazioni ha occupato un posto di grande rilievo nella storia culturale della società fiorentina, costituendo un punto di riferimento per quanti, in campo nazionale ma anche europeo, hanno mirato a realizzare per i propri figli un'educazione ed una formazione culturale di alto livello. L'idea prima di tale collegio fiorentino era sorta nella mente di un liberale, del più illustre e degno dei liberali toscani del primo ottocento, il marchese Gino Capponi. Intorno al 1820 in Firenze non esisteva alcun collegio femminile retto con criteri di educazione laica e libera e di tale mancanza soffriva il giovane marchese che, rimasto vedovo a 22 anni, aveva due bambine alla cui istruzione doveva pensare. Al tempo di Pietro Leopoldo, in Toscana, esistevano i Conservatori Femminili, fondati da lui dopo la soppressione di molti conventi.

    Erano collegi, con scuole annesse, che accoglievano giovani donne del popolo alle quali veniva data un'istruzione adeguata al loro ceto sociale e in più veniva insegnato loro un mestiere. Esisteva anche l'Istituto, delle Nobili donne Montalve.

    Gino Capponi non fermò l'attenzione su tali istituti che poco stimava: era religiosissimo, ma non avrebbe mai affidato le sue figlie ad una scuola di carattere confessionale. Per questo compì molti viaggi all'estero ponendo l'attenzione sugli istituti culturali dei vari paesi e sui problemi educativi mai dibattuti.
    Era convinto che nell'educazione fosse riposto il segreto della civiltà dei popoli, del loro risveglio alla coscienza civile e politica e del loro benessere economico. Da questo momento l'idea di aprire a Firenze un collegio femminile, intelligente e ben diretto, per bimbe e giovinette di buona famiglia, non abbandonò mai più la mente del Capponi Egli pensava infatti, che un istituto laico condotto con idee liberali in una città come Firenze avrebbe certamente avuto in breve tempo un'importanza grandissima: nacque da qui l'idea di interessare la casa Granducale.


    L'idea piacque a Maria Anna Carolina di Sassonia, moglie del principe Leopoldo, la quale capì che l'istituzione in Firenze di un collegio importante sarebbe stato utile e avrebbe fatto onore al Granducato.
    L'entusiasmo con cui la corte granducale accolse l'idea' di Gino Capponi, indusse quest'ultimo a rimettersi in contatto con Madame Eenens, inspectrice della napoleonica Maison Royale de S. Denis, già conosciuta dal Capponi in una visita al famoso collegio parigino.

    Le scrisse offrendole di dirigere il nuovo Istituto.

    La Eenens tirò per le lunghe la stipula del contratto, ma finalmente, dopo aver imposto numerose condizioni, accettò. Secondo tali condizioni, la Eenens si sarebbe recata a Firenze per assumere la direzione dell' istituto di educazione con le stesse mansioni attribuite alla direttrice del collegio di Lucca "... con un onorario di 4000 franchi all'anno, oltre ad un trattamento completo e onorevole sarebbe dovuta restare alle direzioni dell'istituto per un corso di anni bastanti a renderlo efficiente e a dargli uno stabilimento in forma certa".


    A questo punto si fece avanti un altro problema, quello di dare al nuovo "stabilimento" un carattere statale piuttosto che privato. Su questo fu d'accordo la granduchessa Maria Ferdinanda, moglie di Ferdinando III, e anche se i ministri del granduca paventarono che il progetto avrebbe impegnato grandi risorse dello Stato, il progetto andò avanti.
    Il locale scelto per Io scopo fu il già Monastero detto Nuovo in Via della Scala, un tempo appartenente alle Cavalleresse di S. Stefano. Era arioso e fu sistemato dalla Eenens con proprietà, gusto ed eleganza, ma anche con una spesa superiore a quella prevista, per imprimere all'ambiente un carattere molto singolare. Essa, infatti, aveva fatto costruire i mobili su disegni suoi, a imitazione di quelli di St. Denis e simili a quelli del collegio parigino furono i piccoli letti a baldacchino.I lavori iniziati nella primavera del 1822 si conclusero nell'autunno del 1823. Il 20 novembre di quello stesso 1823, il granduca Ferdinando firmò il "motu proprio" che segnava la nascita ufficiale dell'istituto "destinato alla educazione delle fanciulle". Un anno dopo la fine dei lavori precisamente il 15 novembre del 1824 Leopoldo II, succeduto al padre, decise che l'educandato fosse posto alle dipendenze della Segreteria del R. Diritto e che due deputati avessero la sovrintendenza dell' Istituto.

    primi deputati nominati dal granduca furono Vincenzo Antinori e Vincenzo Peruzzi. La direzione suprema fu affidata alla granduchessa Maria Anna Carolina.

    Per volere della granduchessa, il nuovo collegio si sarebbe chiamato "Imperiale e Reale Istituto della Ss. Annunziata", perché dedicato alla Ss. Annunziata protettrice della città di Firenze a cui lei stessa era molto devota.



    L'apertura del collegio avvenne il 10 dicembre dei 1825 con nove alunne.

    Nel 1827 giunse in collegio la prima educanda proveniente da un'altra regione: Maria Zambeccari di Bologna alla quale seguirono molte altre fanciulle non tos
    cane.
    Con l'unita' d'Italia ed il trasferimento a Firenze della capitale, i locali di via della Scala si resero necessari come sede del Ministero del lavoro e all'Istituto della Ss. Annunziata, rimasto statale anche nel nuovo stato sia pure attraverso un non facile passaggio, venne offerta in cambio la Villa del Poggio Imperiale, una sede prestigiosa ma da anni rimasta poco curata e poco utilizzata.
    Dal 1865 la villa del Poggio Imperiale e' la sede dell'Istituto Statale della Ss. Annunziata. Nel corso degli anni la qualità ed il prestigio della Ss. Annunziata si sono sempre mantenuti ai più alti livelli, facendone uno dei primi collegi femminili d'Europa.

    Dal 1976, le scuole dell'istituto, oltre alle ragazze interne, accolgono anche studentesse e studenti come semiconvittori.

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    QUESTE SONO LE FOTO DELLA SCUOLA


    AULA

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    PALESTRA

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    SALA DA PRANZO

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    SALE STUDIO

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    MUSEO DELLE COLLEZIONI SCIENTIFICHE

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    EDUCANDATO



    L'educandato può accogliere circa 100 studentesse frequentanti le classi interne dell'Istituto dalla prima media alla V Liceo.
    Esse sono ospitate nelle zone a loro riservate: generalmente le convittrici della scuola media, dei primi tre anni del Liceo hanno le loro stanze al primo piano della villa, nelle splendide sale dei quartieri granducali; le camere possono essere da tre a sei letti, inoltre ci sono sale di soggiorno e di studio. Allo stesso piano si trovano due camere per il personale educativo in servizio notturno.

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    Le studentesse degli ultimi due anni dei licei sono alloggiate al terzo piano in camerette da tre, due o un letto (quest'ultime di norma riservate alle maturande), sono presenti anche spazi comuni: biblioteca di libero accesso e fruizione, zone di soggiorno, zona televisione e un piccolo studio informatico a loro riservato. Anche a questo piano sono previste le camere per il personale educativo.

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    http://www.poggioimperiale.netsons.org
     
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    PIAZZA DELLA LIBERTA' E ARCO DI TRIONFO



    Piazza della Libertà segna il punto più a nord del centro storico di Firenze. Fu realizzata nell'Ottocento nel corso dei lavori per la creazione dei Viali di circonvallazione.
    A Firenze in Piazza della Libertà si trova un Arco di Trionfo eretto nel Settecento dall'architetto Jean-Nicolas Jadot. Collaborò anche l'architetto Schamant e per il corredo decorativo scelse anche artisti fiorentini dell'Accademia, che crearono le statue di divinità mitologiche.

    L'arco, posto nel punto di accesso nord della città appena fuori da Porta San Gallo voleva celebrare l'ingresso degli Asburgo-Lorena, dopo l'estinzione del casato dei Medici.

    Fu eretto nel 1737, durante il cosiddetto periodo della reggenza (1733-1765), quando il nuovo granduca Francesco Stefano ottenne il granducato tutto sommato contro la sua volontà e vi si recò il 20 gennaio 1739, evitando però di risiedervi. Quando divenne Imperatore a Vienna, il suo secondogento Pietro Leopoldo ereditò la Corona di Toscana, della quale prese possesso con dedizione. Essendo quest'ultimo un sovrano di stampo illuminato, giudicò superflue tali opere celebrative.

    L'architettura dell'arco viene in genere considerata eccessivamente appariscente e retorica, con l'aquila asburgica che domina le decorazioni, unita a una serie di bassorilievi che raffigurano i trionfi degli Asburgo e iscrizioni altisonanti in latino. Per un curioso caso della storia, i Lorena fecero sia la loro entrata che la loro uscita dalla città sempre attraverso l'arco: il 27 aprile 1859 i fiorentini, appoggiati dalle truppe, insorsero contro il Granduca Leopoldo II costringendolo a una fuga volontaria dalla città e dalla Toscana, fuga che avvenne proprio attraverso la via di Porta San Gallo che aveva precedentemente accolto i suoi avi.

    Una targa posta sul lato interno datata 11 novembre 1916 e dedicata al Re Vittorio Emanuele III sottolinea il potere assunto dal popolo in seguito all'Unità d'Italia, in contrapposizione al potere dittatoriale dell'ancient regime che l'arco rappresenterebbe. I Granduchi tacciati di "torbida" tirannia erano però antenati diretti del monarca Savoia.

    Con la creazione dei Viali di Circonvallazione tra il 1865 e il 1871, l'arco si venne a trovare al centro di un'isola pedonale circondata da strade e da un sistema di portici che sono tra le realizzazioni più compiute dell'architetto Giuseppe Poggi, supervisore del progetto urbanistico.

    Nel piccolo parco-isola pedonale, è racchiusa anche l'antica Porta San Gallo facente parte delle antiche mura, di fronte alla quale fu realizzata una fontana circolare che la separa dall'Arco di Trionfo.

    Uno spiazzo attorno a Porta San Gallo esisteva dal Trecento e si chiamava appunto piazza di Porta San Gallo. Questo spazio un tempo era molto limitato per la presenza di un fossato difensivo.

    Una prima trasformazione si ebbe nel 1738 quando fu eretto l'Arco di Trionfo per celebrare a Firenze l'arrivo dei Lorena dopo l'estinzione dei Medici.

    Dal 1865 la piazza venne stravolta per la demolizione delle mura, e venne ricostruita con un disegno completamente nuovo da Giuseppe Poggi, che tra il 1865 e il 1875 creò l'attuale piazza ellittica, circondata da palazzi analoghi stilisticamente, caratterizzati da portici in un sobrio stile classicheggiante. Al centro venne sistemato un giardino con l'antica Porta e l'Arco di Trionfo, separati da una fontana con laghetto. Vi vennero piantati tutt'intorno alberi d'alto fusto, che ombreggiano e fanno da cortina di separazione tra il giardino e il traffico dei viali che vi girano attorno.

    Nell'Ottocento la piazza era intitolata a Camillo Cavour. Nel 1930 la titolazione venne cambiata (essendoci già una via Cavour) e divenne piazza Costanzo Ciano, ammiraglio del regime; di nuovo nel 1944 il nome venne trasformato in piazza Muti, per ottenere solo nel 1945 la denominazione attuale di piazza della Libertà.

    Sul lato nord-occidentale della piazza si trova la sede del gruppo Fondiaria-SAI; era la sede storica de "La Fondiaria Assicurazioni", prima della sua incorporazione.

    A Firenze in Piazza della Libertà si trova un Arco di Trionfo eretto nel Settecento dall'architetto Jean-Nicolas Jadot. Collaborò anche l'architetto Schamant e per il corredo decorativo scelse anche artisti fiorentini dell'Accademia, che crearono le statue di divinità mitologiche.

    L'arco, posto nel punto di accesso nord della città appena fuori da Porta San Gallo voleva celebrare l'ingresso degli Asburgo-Lorena, dopo l'estinzione del casato dei Medici.

    Fu eretto nel 1737, durante il cosiddetto periodo della reggenza (1733-1765), quando il nuovo granduca Francesco Stefano ottenne il granducato tutto sommato contro la sua volontà e vi si recò il 20 gennaio 1739, evitando però di risiedervi. Quando divenne Imperatore a Vienna, il suo secondogento Pietro Leopoldo ereditò la Corona di Toscana, della quale prese possesso con dedizione. Essendo quest'ultimo un sovrano di stampo illuminato, giudicò superflue tali opere celebrative.

    L'architettura dell'arco viene in genere considerata eccessivamente appariscente e retorica, con l'aquila asburgica che domina le decorazioni, unita a una serie di bassorilievi che raffigurano i trionfi degli Asburgo e iscrizioni altisonanti in latino. Per un curioso caso della storia, i Lorena fecero sia la loro entrata che la loro uscita dalla città sempre attraverso l'arco: il 27 aprile 1859 i fiorentini, appoggiati dalle truppe, insorsero contro il Granduca Leopoldo II costringendolo a una fuga volontaria dalla città e dalla Toscana, fuga che avvenne proprio attraverso la via di Porta San Gallo che aveva precedentemente accolto i suoi avi.

    Una targa posta sul lato interno datata 11 novembre 1916 e dedicata al Re Vittorio Emanuele III sottolinea il potere assunto dal popolo in seguito all'Unità d'Italia, in contrapposizione al potere dittatoriale dell'ancient regime che l'arco rappresenterebbe. I Granduchi tacciati di "torbida" tirannia erano però antenati diretti del monarca Savoia.

    Con la creazione dei Viali di Circonvallazione tra il 1865 e il 1871, l'arco si venne a trovare al centro di un'isola pedonale circondata da strade e da un sistema di portici che sono tra le realizzazioni più compiute dell'architetto Giuseppe Poggi, supervisore del progetto urbanistico.

    Nel piccolo parco-isola pedonale, è racchiusa anche l'antica Porta San Gallo facente parte delle antiche mura, di fronte alla quale fu realizzata una fontana circolare che la separa dall'Arco di Trionfo.

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    Questo topic è troppo bello.... Firenze ha tantissima Arte e bellezza riconosciuta
    in tutto il Mondo.

    Anto, torna presto altrimenti chi mette ancora fotine della tua meravigliosa
    Firenze? :wub:
     
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    Foto-image scattate da Celtico a Firenze durante la sua
    partecipazione a vinitaly 2011
    :soddisfazioni:


    PONTE VECCHIO





    L' ARNO


    PALAZZO DELLA SIGNORIA




    IL DUOMO



    VEDUTA DAL CAMPANILE DI GIOTTO



    vedutacampaniledigiotto/firenze/https://angolodellamicizia.forumfree.it








    IL CAMPANILE DI GIOTTO








    IL BATTISTERO


    firenze-battistero/https://angolodellamicizia.forumfree.it



    PALAZZO PITTI





    Anto...un grande bacio a te e alla tua Firenze. :bacetti:



    Edited by Streguccia - 14/5/2011, 18:26
     
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    Firenze-Piazza della Signora

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  14. Cesco
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    Curiosità a Firenze


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    Firenze, bella città d’arte nel cuore del’Italia, La città è meta di turismo ogni mese dell’anno ma ci sono alcune cose che poco sono segnalate nelle guide, noi invece pensiamo che possano essere curiose e belle.

    A Santa Maria del Fiore, in una colonna vi è una testa di bovino, o forse vacca, la storia racconta sia messa lì per ringraziare le mandrie bovine che hanno nei secoli lavorato per costruire il Duomo, una curiosa leggenda , narra che sia la testa di un toro, messa mastri carpentieri, amante della moglie di un panettiere, una volta scoperti, interrompono la relazione, per vendetta il mastro mette li la testa di un animale cornuto per sbeffeggiare il marito della sua amante. Interessante è pure una visita alla Loggia del Bigallo, storicamente qui vi era una ruota pronta ad accogliere i bimbi più sfortunati, e, in questo convento oltre ad essere ancora ben visibile la ruota, la tradizione fiorentina narra fosse possibile venire a “scegliere” un bambino da adottare. Curiosa è la storia narrata intorno all’ultima finesta del secondo piano del ben palazzo Budini Gattai, che fa bella mostra in piazza Santissima Annunziata.

    Questa finestra rimane sempre con le portelle aperte perchè la bella giovane che sposa uno dei Grifoni (storici propietari del palazzo) osservava da lì partire il suo uomo per una guerra da cui mai più tornerà. La donna attese per anni l’apparire del destriero con a cavallo il proprio uomo ma mai lo vide tornare ed è sempre che la ormai anziana donna viene portata via quando muori. I muri tremarono, i mobili si spostarono fino a che, la famiglia di convinse a tenere sempre accostata la finestra.

    Lo spirito della nobildonna cosi può tuttora osservare la piazza ed attendere l’arrivo del nobile.


    www.viaggiestate.com/firenze/
     
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    Firenze, la seconda città
    al mondo più amata dai turisti



    Al primo posto Bangkok, al terzo posto Roma. E' il risultato di una ricerca
    di Travel&Leisure, magazine statunitense considerato la "bibbia" del turismo


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    di GERARDO ADINOLFI

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    Firenze è la seconda meta al mondo più amata dai turisti. Che la città del David di Michelangelo e del Campanile di Giotto abbia sempre avuto un appeal turistico era noto, ma i risultati di una ricerca statunitense hanno regalato al capoluogo toscano una gradita medaglia d'argento. Sarà stato per il panorama mozzafiato da piazzale Michelangelo, o per la cultura e l'arte che si respira camminando per le sue strade.

    Superata solo da Bangkok, Firenze è sta premiata per i beni artistici, il cibo e i ristoranti, la cordialità delle persone, i panorami ed i prezzi. Una sorpresa per Firenze ed i fiorentini, saliti sul secondo gradino del podio di una ricerca condotta dalla rivista Travel&Leisure, la "bibbia" del settore turistico, che come ogni hanno ha stilato la classifica delle 10 città mondiali al top.

    Nel 2009 Firenze era al sesto posto, ma a distanza di 2 anni il capoluogo toscano ha superato, nel gradimento dei turisti, città come Roma (medaglia di bronzo per un podio per due terzi italiano), New York City ( al quarto posto) e Istanbul (al quinto). Solo nona, invece, Barcellona mentre Parigi è al decimo posto. Per pochi punti esclusa dalla top ten mondiale Siena, che si è
    classificata al nono posto tra le mete europee più amate. La classifica fa parte di "THe world's best awards 2001" che confronta, per il sedicesimo anno consecutivo, non solo città ma anche hotel, isole e mezzi di trasporto. Ad esprimere le valutazioni sono stati gli stessi lettori della rivista, attraverso un questionario diffuso sia attraverso il magazine cartaceo che sul sito on line dal dicembre 2010 al marzo scorso.



    "Siamo soddisfatti di questo risultato, ha commentato il sindaco Matteo Renzi - questo non significa che ora dobbiamo adagiarci ma anzi, è una spinta in più a migliorare e a farci sentire sempre più orgogliosi di essere fiorentini.

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    Firenze è migliorata di una posizione rispetto al 2010 ed è la prima in Europa. Tra le mete turistiche italiane oltre Roma, terza al mondo e seconda in Europa e Siena, c'è anche la Sicilia, sesta al mondo e seconda in Europa e Capri, quarta in Europa.



    Fonte : http://firenze.repubblica.it/cronaca/2011/...mondo-20633044/
     
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